La lettera: «Rifiuto l’anestesia emotiva, voglio sentire il dolore per la morte dei nostri “vecchi”»

Un lettore scrive una lettera in cui si chiede come mai si parli così poco del gran numero di anziani colpiti dal Coronavirus, una toccante riflessione su quanto il nostro Paese stia perdendo soprattutto in termini di umanità
«Dal 1999 non ho più neanche un nonno. Per la verità ne ho sempre avuti 3, uno dei miei nonni è morto prima che nascessi, anche se in famiglia è sempre stato presente attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto. Degli altri conservo un bellissimo ricordo, anche con tutti i loro difetti, con una in particolare avevo un rapporto di amore e odio, per tanti anni ha vissuto con noi. Ma è quella che quando è mancata mi ha fatto soffrire di più. Per me erano persone speciali, nutrivo per loro un misto di timore reverenziale e amore, perché secondo me sapevano tutto, erano in grado di rispondere a qualsiasi mia domanda. E quando un po’ più grandicello mi veniva voglia di metterli alla prova mi inventavo domande complicate approfittando con una punta di cattiveria, della loro istruzione (secondo me) inferiore alla mia, ma loro puntualmente avevano la risposta a ogni mia curiosità.
Due di loro li ho visti soffrire e spegnersi piano piano, consumati dalla malattia. Una invece è morta nel sonno. Ma non è vero che non ha sofferto. Perché si trovava in una casa di riposo. Da sola. L’avevano messa, e uso di proposito questa parola, messa, in una casa di riposo. Dinamiche familiari complesse avevano portato tre dei suoi cinque figli a optare per la soluzione più comoda per tutti. Ma lei era lucidissima, quasi autosufficiente. Mi sono sempre chiesto cosa provasse, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederlo a lei. Sarà per questo forse, che adesso tutte le volte che una persona anziana muore in una casa di riposo, e sono centinaia ogni giorno, ripenso a lei. Migliaia di anziani si stanno ammalando, ma non possono ricevere la visita dei familiari, si spengono lentamente senza il conforto degli affetti, e finiscono in cimitero senza un saluto.
Non voglio giudicare chi decidere di lasciare i propri familiari anziani nelle case di riposo, ognuno ha le sue ragioni. Né fare adesso il processo a chi non ha saputo gestire la sanità nel corso del tempo. Ma vorrei che le persone ogni tanto scrivessero un pensiero, una parola per quello che stiamo perdendo. Se la gente non avverte la necessità di ricordarli, evidentemente non si rende conto di cosa rappresentano umanamente gli anziani per la società. Sono la nostra memoria, sono l’esperienza di una vita lunghissima fatta di errori e fatica, che con il loro vissuto potrebbero, ma noi non li ascoltiamo quasi più, insegnarci a non commettere gli stessi sbagli. Il colonialismo italiano in Africa io l’ho imparato dai racconti di mio nonno, vita vissuta che i libri non ci racconteranno mai. Mia nonna si affacciava alla finestra e faceva le previsioni meteo con una precisione impressionante e aveva in serbo un proverbio per ogni circostanza. L’altra mia nonna riconosceva la qualità e la freschezza della merce al mercato da lontano, con un solo sguardo e sapeva preparare piatti impareggiabili dal nulla.
Il nostro paese sta perdendo una generazione, sulla base di una scelta crudele, ma a quanto pare necessaria: i vecchi vengono lasciati morire in favore dei più giovani, e di questa legge durissima della sopravvivenza, se ne parla poco. Nei telegiornali, sui social, pubblicamente e privatamente le persone scrivono di sé, delle proprie privazioni, delle proprie ansie, ma fatico a trovare spazi, momenti anche piccolissimi in cui si dedica una parola alle centinaia di anziani che muoiono ogni giorno. Comprendo che per molti, già preoccupati per la propria salute, in tanti per il proprio futuro economico si concentrino su altro, e preferiscano anestetizzarsi con il bombardamento di altre informazioni. Io rivendico il diritto al dolore, non voglio fare finta che non sia grave, voglio soffrire per la loro morte che hanno affrontato in solitudine, e per quelli che non si rendono conto di quanto stiamo umanamente perdendo». G. N.

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