Morire durante l’emergenza Coronavirus. L’appello accorato di Ivan Puddu: «Non perdiamo l’umanità»
Accorata e attuale: la lettera che Ivan Puddu, Vicesindaco di Baunei, affida ai social ha il sapore amaro della perdita.
Accorata e attuale: la lettera che Ivan Puddu, Vicesindaco di Baunei, affida ai social ha il sapore amaro della perdita. Racconta dell’umanità spazzata via dai protocolli sanitari, della morte e della solitudine. Perché non si può accettare, non senza un dolore immenso, di lasciare andare per la vita eterna una persona in ospedale, senza che nemmeno un familiare sia presente. In questo caso, la compianta nonna, che pure chiedeva flebilmente un po’ di vicinanza. Puddu rimarca il fatto che i protocolli devono esserci, ovviamente – siamo in emergenza sanitaria, non potrebbe essere che così –, ma che magari potrebbero essere adattati alle varie situazioni.
«Se perdiamo l’umanità in situazioni limite come questa avremo perso non solo vite umane ma il senso della vita stessa» commenta, amareggiato.
Intanto, in memoria della nonna, è sulla via dell’attivazione una raccolta fondi per acquistare un macchinario utile al reparto U.O. Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Nostra Signora della Mercede.
RIPORTIAMO INTEGRALMENTE LA LETTERA DI IVAN PUDDU
La solitudine nella morte.
In questi giorni insieme alla mia famiglia, ho vissuto lo strazio e la sofferenza di non poter aver dato a mia nonna un ultimo abbraccio e un saluto in punto di morte.
Mia nonna era una donna forte e dolcissima, come tanti ha conosciuto la guerra, ha vissuto i tempi della malaria, una storia come tante, lei era una donna unica, pilastro di una famiglia numerosissima, avrebbe compiuto 93 anni nel mese di giugno. Malgrado fosse da qualche anno vedova, fino al giorno del suo ricovero in ospedale, non era mai rimasta sola, sempre circondata dai suoi affetti, 9 figli e un esercito di nipoti e pronipoti. Preciso che mia nonna è entrata in ospedale per un problema intestinale dovuto a un ernia inguinale, problema da risolvere con un intervento relativamente semplice, ma a quella età tutto può accadere. Improvvisamente nella fase post-operatoria, le sue condizioni si sono aggravate, causa una polmonite da allettamento, sopraggiunta in ospedale, e problemi renali e cardiaci. Per una settimana sapevamo tutti delle condizioni di salute serie, ma speravamo che il tutto si risolvesse. Abbiamo chiesto più volte che una delle 9 figlie potesse starle vicino, lo chiedeva lei nelle sue flebili telefonate, aveva bisogno lo chiedeva con insistenza. Ma i protocolli ospedalieri a causa del Covid-19 non l’hanno permesso. Alla fine di questa triste storia una telefonata improvvisa di una mattina di aprile, ha avvisato una figlia che la mamma era spirata.
Protocolli senza umanità. Il Covid-19, questo terribile virus, ha annebbiato anche il senso più stretto della nostra civiltà. È giustissimo tutelare gli ospedali e i lavoratori, medici e infermieri e operatori sanitari, ma va studiato a mio parere un protocollo che tenga “assieme le ragioni della salute e quelle degli affetti” e permetta di morire con dignità alle tante persone che se ne vanno da sole negli ospedali, senza il conforto dei propri cari.
Mia nonna, come tante persone che non sono positive al Virus Covid-19, ma si trovano in ospedale per altre patologie, non meritava di morire da sola, e noi familiari non meritavamo questo strazio. Per questo “come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente”, così dovrebbe essere possibile predisporre un protocollo che preveda “la presenza di un congiunto”.
Permettere a un familiare la presenza fissa in situazioni estreme, presenza avvallata da tamponi o da protocolli, come quelli previsti per infermieri e dottori, potrebbe essere una soluzione.
Lo dico perché quello che è accaduto oggi alla mia famiglia, domani potrebbe accadere anche a voi. Potrebbe succedere a tutti noi di ritrovarci in ospedale, da soli, senza la presenza di un familiare. Si pensa con spavento alla propria morte, ma ora appare ancora più terribile l’idea di doverla affrontare nella solitudine, senza la possibilità di congedarsi dai propri cari o con una mano amica che ci conforta.
Non parlo certo dei reparti di terapia intensiva ma penso ai malati oncologici, agli anziani come lo era mia nonna, lucida fino all’ultimo istante. Sono il primo a credere che il virus si combatte con regole ferree, e con protocolli rigidi, ma credo che non dovrebbe venir meno anche in questi momenti di emergenza il carattere umanizzante del morire, senza il quale si lascia la persona morente nella solitudine affettiva. Lo dico per quei casi che non sono affetti da Covid e con il virus non c’entrano niente.
Chi muore, lo fa in solitudine affidando ai medici e infermieri l’ultimo respiro, lontani da un abbraccio d’amore che solo un marito, una figlia o un figlio possono dare. Ritengo che anche questo rivesta il carattere di emergenza che muove le decisioni di questo periodo da parte di chi governa. Credo che si debba ragionare seriamente su questo aspetto, e che si provi a formulare un protocollo che tenga assieme le ragioni della salute con quelle degli affetti.
E’ veramente improponibile pensare che una persona cara, nell’assoluto rispetto delle norme sanitarie, possa essere presente per accompagnare un proprio congiunto nel delicato momento del passaggio dalla vita alla morte?
Si può, con fatica, accettare la solitudine della tumulazione: una volta passata l’emergenza, ci potranno essere gesti pubblici per elaborare il lutto. Ma per chi muore, non si possono differire i tempi: c’è un unico momento.
Nessuno merita di morire da solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del sacrificio per il bene dei propri cari. Come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente, così, è necessario pensare di prevedere la presenza di un congiunto.
Se perdiamo l’umanità, non solo avremo perso delle vite umane, persone care, ma in molti di noi che restiamo la sofferenza sarà ancora più grande e rialzarsi ancora più difficile.
Ciao Nonna ti abbiamo amato… e ti ameremo sempre.
Grazie ai medici e infermieri, a tutti gli operatori socio sanitari per tutto quello che fanno in queste tristi situazioni.
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