Cinque baunesi in giro per il mondo. I racconti di Livia Monni, Cristina Maddanu, Federica Farinconi, Chiara Tegas e Irene Sioni
Cinque baunesi in giro per il mondo. I racconti di Livia Monni, Cristina Maddanu, Federica Farinconi, Chiara Tegas e Irene Sioni
Livia Monni, Cristina Maddanu, Federica Farinconi, Chiara Tegas e Irene Paola Sioni. Cinque diciassettenni in giro per il mondo, a fare una nuova esperienza di vita, arricchendo così il proprio bagaglio culturale e aprendo la mente a mondi diversi. Le cinque ragazze baunesi hanno fatto la valigia e sono partite. Senza paura? Senza tentennamenti? No, certo, ma con grande coraggio e grande forza. I loro racconti sono strabilianti.
Partiamo con Livia Monni.
«Credo sia normale per chiunque sentire il bisogno di allontanarsi, di crescere» racconta Livia Monni. «Perché sono partita? Per una sfida intimamente personale con me stessa, per dimostrarmi che posso farcela. Mi sono iscritta al concorso di Intercultura con poche reali speranze di essere scelta e un sogno nel cassetto da realizzare».
A febbraio, i risultati. Livia non può crederci, per lei una meta importante: Honduras. Era decimo, nella sua classifica delle preferenze, ma se ne innamora subito.
«Partire a diciassette anni e vivere lontano da casa comporta una serie di arrivederci difficili da affrontare, che iniziano con i tuoi amici più intimi e si concludono con la tua famiglia e la tua quotidianità. La parte più difficile è chiudere la valigia. È stato l’esatto momento in cui ho realizzato a cosa stavo andando incontro. Credo che la bolla di sicurezza che mi aveva avvolta fino ad allora sia scoppiata quando ho finito di impacchettare la mia vita in venti chilogrammi».
22 agosto, data della partenza. Tre giorni dopo l’arrivo. «Sono arrivata all’aeroporto di Tegucigalpa circa tre giorni dopo, entusiasta con il gruppo di scapestrati pronti ad iniziare la loro avventura. Ho stretto amicizie bellissime e vissuto momenti indimenticabili con loro prima dell’arrivo in famiglia. Shock culturale. Ritrovarsi catapultati in una nuova esistenza, in una cultura completamente diversa da quella italiana, significa prendere coscienza dei propri limiti e essere pronti a tutto, anche al trauma della nutella con un sapore differente. Ma niente, neanche la tranquillità e la sicurezza di casa, potranno rimpiazzare la scoperta dei piccoli gesti che ti aspettano. Come tua sorellina ospitante che cerca conforto tra le tue braccia, tua mamma che ti chiama “mi niña” (la mia bambina) o tuo fratello che si mette a cucinare solo per farti assaggiare le pietanze locali. Honduras per me è un nuovo mondo e il mio “quasi” primo mese qui mi ha fatto vivere come non mai. Il resto è storia, ancora da scrivere».
A questo punto, prende la parola Chiara Tegas.
«Ci sono tantissimi motivi che mi hanno spinto a prendere una decisione così importante come quella di trascorrere dieci mesi all’estero e credo che anche con tanto impegno non riuscirei mai a riportarli tutti» confida Chiara. Tra le mille, ci sono la voglia di cambiare in positivo e quella di scoprire qualcosa di nuovo.
«Credo che una delle cose più importanti che questa esperienza mi possa dare sia la possibilità di confrontare due mondi diversi, il mio e quello in cui sono stata catapultata all’improvviso, nella possibilità di capire se nella nostra realtà ci sia qualcosa che possa essere aggiustato, qualcosa che non funzioni a dovere che può essere migliorato. Ma, da questo punto di vista, bisogna anche specificare che tutto questo mi sta aiutando a capire non solo cosa da noi non funzioni adeguatamente, ma anche cosa da noi va meglio rispetto al posto in cui mi ritrovo ora».
Le motivazioni della partenza – racconta Chiara – sono emerse mano a mano, mentre l’idea della partenza si concretizzava. Era un cogli l’attimo, inizialmente, qualcosa di impulsivo e di istintivo. La definisce una preziosa opportunità: «È giusto che noi giovani scopriamo il mondo fin da subito e le difficoltà che la lontananza da casa e dalla quotidianità portano. E personalmente, sono state tante nonostante io mi trovi qui solo da un mese».
Partenza da Baunei e arrivo… in Scozia! Non era, dice, proprio al settimo cielo.
«Salutare tutti gli amici e la mia famiglia non è stata la cosa più divertente dell’ultimo periodo e il “ci rivediamo tra un anno” non era per niente incoraggiante. Le persone che conosco, che frequento ogni giorno, per me sono tutto. Immaginarli lontani mi faceva sorgere milioni di dubbi e domande. Ricordo che continuavo a chiedermi se fosse stata davvero la scelta migliore per una come me».
Si concentra sul fatto che comunque sia un’avventura. Dopo una partenza sofferta, altre complicazioni.
«Mi sono sentita un pesce fuor d’acqua fin dal primo momento in cui ho varcato la soglia d’ ingresso. Mi ricordo che ero seduta sullo stesso divano in cui sono in questo momento, mentre metto per iscritto cosa ho provato in quei primi istanti in quella che sarebbe diventata la mia nuova casa, e intanto continuavo a pensare alla mia famiglia e a quanto in quel momento avrei voluto essere da sola, nella mia piccola cameretta di Baunei, magari ad ascoltare un po’ di musica come sono solita fare o a suonare qualche bel pezzo al pianoforte. La nostalgia era davvero forte e non pensavo potesse mettermi alla prova così tanto. Durante quei giorni non ho voluto sentire nessuno al telefono, nonostante tutti chiedessero di me e volessero sentire qualche recensione del nuovo posto. Volevo un distacco completo dalla realtà che conoscevo, nella speranza che avrei dimenticato tutti in meno tempo possibile! In realtà è stato un grosso errore, l’adattamento è venuto da sé e non serviva forzarlo».
Routine quotidiana precisa, equilibrio, abitudini. Tutto questo viene stravolto. Chiara è spaventata, si sente spaesata. Sa che deve cambiare tutto, tutto!, e non può non sentirsi terrorizzata. Comunque, trova questo mondo sin da subito interessante.
«Con l’inizio della scuola, tutto è cambiato e, giorno dopo giorno, ho iniziato ad apprezzare veramente questa nuova vita e tutti gli aspetti, positivi o negativi, che questa comporta. Anche il primo giorno di scuola è stato l’ennesima novità che avrei dovuto digerire in poco tempo, ma è stato meglio di quanto pensassi. La gentilezza di queste persone che mi circondano mi stupisce ogni giorno di più e non c’è stato un momento in cui, tra di loro, mi sia sentita completamente un’estranea. So che ci saranno altri momenti difficili, altri ostacoli da superare, ma sono consapevole che ne varrà la pena, per il mio futuro, per capire come funziona un piccolissimo pezzo di mondo che non conosco, ma soprattutto, per scoprire a pieno me stessa e cosa sono davvero capace di fare».
Irene Paola Sioni inizia il suo racconto in modo molto deciso: «Arriva quel momento in cui sei stufo della routine che è la stessa da 17 anni».
Giorni sempre uguali. Vuoi di più – dice la Sioni – conoscere cose nuove e sperimentare situazioni diverse. Provare a cavarsela da soli. È a quel punto che «decidi di metterti alla prova, capire meglio chi sei, e per farlo sei disposto a imparare una nuova lingua a livello quotidiano, a lasciare la tua famiglia, i tuoi amici, il tuo paese e tutto ciò che ti è caro. Ma come si dice “sai cosa lasci ma non sai quello che trovi”».
Ispirata dai racconti del returnees, a ottobre 2017 – malgrado non sia del tutto certa –, pensa di cogliere l’occasione: trascorrere un anno all’estero potrebbe essere la soluzione a tutti i suoi pensieri. I genitori, all’inizio non felicissimi – la preoccupazione c’è, ovvio. Nemmeno lei è convinta al 100%, però con l’insistenza con cui chiede le fa capire che quella sia la strada giusta.
È nel momento delle Orientations – la preparazione per i ragazzi che vogliono partire con Studenti Senza Confini – che si capisce veramente se la scelta che si sta facendo sia la corretta. Irene va avanti, nonostante la perplessità della madre, e parte, dimostrando a tutti che può andare avanti nelle cose che ritiene giuste.
«Il momento in cui sei impaziente e in ansia è quando hai finito di preparare i documenti e devi solo aspettare di essere scelto dalle famiglie, mentre nonni e zii pregano che sia una buona famiglia. Finalmente, dopo sei mesi e qualche sospetto, ho ricevuto l’ambita chiamata il 12 luglio, scoprendo dove e con chi avrei vissuto per quasi un anno, tranquillizzando me e i miei genitori: era una bella famiglia, in apparenza, e ora dimostra di esserlo concretamente».
Il 15 agosto saluta tutti – tra preoccupazioni e ultimi preparativi – e prende l’aereo indossando qualche lacrima e un po’ di tristezza ma portando in valigia 23 kg di entusiasmo e tanta voglia di fare.
Varie tappe per arrivare – New York, Philadelpha, Washington –; è proprio durante il viaggio che si rende conto che «niente sarebbe stato come prima, che tutti i miei punti di riferimento sarebbero stati diversi, tabula rasa, una nuova vita. Detto questo, sembra che sia la scelta peggiore che una persona possa prendere, invece è l’esatto contrario, solo vivendo situazioni difficili si impara ad affrontarle, proprio perché è indispensabile per stare bene. Una volta arrivati a destinazione, qualunque essa sia, l’unica cosa che resta da fare è vivere al massimo l’esperienza ed essere fieri di essere #Exchangestudents».
Ma arriviamo alla quarta protagonista di questo articolo.
«Quando ancora studiavo alle scuole medie,» racconta Federica Farinconi «avevo sentito di questa possibilità di passare un anno scolastico all’estero, e quindi, anno dopo anno, mi sono informata sempre di più su questo argomento, leggendo le testimonianze dei ragazzi che avevano preso la decisione “coraggiosa” di trascorrere un anno lontano dalla famiglia, dagli amici, in una realtà dove quasi ogni cosa è differente».
Dicembre 2017, iscrizione a Studenti Senza Confini. 10 mesi negli USA.
Agitazione, all’inizio, e una buona dose di indecisione. Scelta azzardata?, si domanda. Addirittura pensa di abbandonare il programma. La tensione è troppa, cambiare vita per 10 mesi è una scelta radicale. Alla fine, trova il coraggio: l’ultimo periodo è sereno, felice. È soprattutto curiosa.
«Esattamente un mese fa ho fatto i bagagli, ho salutato la mia famiglia e i miei amici versando qualche lacrima, ma essendo comunque felice per quello che stavo per affrontare. Dopo aver trascorso i primi giorni nelle città di New York, Philadelphia e Washington DC con delle amiche italiane, sono arrivata nella mia nuova cosa. Ho passato la mia prima notte in Texas provando un certo senso di rimorso: non ero a mio agio, volevo tornare a casa, avevo paura di non piacere alla mia nuova famiglia. Ho cercato comunque di essere positiva e, anche se è passato poco tempo da quel giorno, ho passato un bellissimo periodo. La mia esperienza negli Stati Uniti è appena iniziata, dovrò ancora superare tantissime difficoltà, ma resto comunque del parere che questa sia la miglior scelta che un sedicenne possa prendere; sono stata fortunata ad avere persone che mi hanno aiutata a prendere la decisione di trascorrere un anno all’estero, e penso che se si ha la possibilità di farlo, la si debba cogliere. È una cosa che capita una sola volta nella vita e non bisogna aver paura degli ostacoli che quest’esperienza ti pone davanti».
Cristina Maddanu inizia ripensando al momento in cui ha maturato l’idea di fare un’esperienza così importante. «Quando l’ho detto ai miei genitori, non era per niente reale, vero. Neanche adesso che sono seduta sul divano di una casa del Maryland, USA, me ne rendo conto. Mi rendo conto che esattamente un anno fa nella mia testa, insieme a tutte le preoccupazioni per l’inizio della scuola e la fine di un’estate passata troppo in fretta, nasceva l’idea di prendere un aereo e partire per un anno di studio all’estero».
Sebbene per nulla chiara, ha comunque un’idea che le frulla in mente.
«In segreto controllavo le mete dei cataloghi online, Australia, Svezia, Norvegia, Stati Uniti, che meraviglia! Provare ad immaginarmi in una vita diversa, racchiusa in un solo anno, era a tratti divertente, un sogno irrealizzabile. Ma questo sogno è diventato realtà, molto, molto in fretta. Dopo aver ottenuto l’approvazione dei genitori, cosa più importante, e dopo aver realizzato che sì, lo volevo veramente, era arrivato il momento di preparare tutti i documenti necessari e di intraprendere un cammino lungo e meraviglioso direzione USA».
I preparativi sono infiniti, difficili ma emozionanti. Incontri, test d’inglese, lettera di presentazione. A quel punto, passato qualche mese, la telefonata che le sconvolge la giornata:
«“La tua famiglia ospitante ti ha trovato, Cristina” è la frase di quella conversazione che ricordo meglio. Quando vieni scelto dalla famiglia ospitante vivi tantissime emozioni contrastanti, come il terrore e la gioia, l’ansia e l’impazienza. Il sette marzo 2018 non volevo più partire. La mia famiglia sembrava l’esatto contrario di quella che avevo immaginato nei miei sogni più profondi, e ciò mi spaventava. Ma la sera stessa li contattai via e-mail per conoscerli meglio. Era una situazione veramente strana, ma era così bello poter conoscere virtualmente le persone con cui avrei vissuto per dieci mesi. Da quel giorno il tempo, contrariamente alle mie aspettative, è passato molto in fretta, e così sono arrivata alla fine dell’estate, sempre più vicina a quel fatidico 29 agosto, “la Grande Partenza”. Non dimenticherò mai le ultime notti passate a riempire una valigia di 23 chili con mia mamma, cercando di farci stare una vita intera».
L’abbraccio con chi lasci è la parte più difficile e dolorosa – racconta Cristina.
«Abbracci le persone a cui tieni di più sapendo che le rivedrai l’anno successivo, e piangi, soffri e stai male. Il 29 agosto nel frattempo è arrivato, la mattina è strana, l’aria è pesante, sai cosa sta per succedere ma non l’hai ancora realizzato. Lasciare casa è brutto, non ci sono altri aggettivi per descrivere il momento in cui il cancello si è chiuso e la macchina si è allontanata dal mio nido sicuro. Arriviamo all’aeroporto di Cagliari, siamo al capolinea, dopo il tornello degli imbarchi non posso più tornare indietro. L’abbraccio dei genitori è qualcosa di indescrivibile. Raggiungo gli altri ragazzi che affronteranno con me la stessa esperienza, così ci dirigiamo verso il nostro gate. È tutto così ovattato, non ascolto nessuno ma ripenso a quegli ultimi momenti in cui ho appoggiato la testa sulle spalle dei miei genitori mentre le lacrime rigano per l’ennesima volta le mie guance. L’aereo decolla, piango ancora, sto lasciando la mia Sardegna, la mia casa, alla volta di un posto sconosciuto. Già mi mancano tutti. Credetemi, è davvero, davvero brutto. Però allo stesso tempo sai che ciò che stai per vivere sarà magico, speciale e unico. Il giorno dopo da Milano prendiamo l’aereo per New York: è incredibile, stiamo andando in America! Passati i controlli possiamo finalmente iniziare l’avventura vera e propria; visitare la Grande Mela, Philadelphia e Washington DC è stato magnifico. Come turisti abbiamo girato i posti più famosi, e abbiamo solo 16 anni. Terminata la settimana di tour è arrivato il momento di salutare i tuoi compagni d’avventura e raggiungere la propria famiglia ospitante. I miei “host parents” mi aspettano a Washington DC con impazienza, io li vedo dal finestrino del pullman e vengo assalita dall’ansia. “Sono loro! Sono loro!”, tutti provano ansia per me, mi salutano per l’ultima volta e prendo il borsone e lo zainetto, pronta a salutare la mia nuova famiglia. Scendo dal pullman e il tempo si ferma, abbraccio mia madre ospitante, è così bello poterla vedere dal vivo. Abbraccio mio padre ospitante, il loro cagnolino e la ragazza tedesca che vivrà insieme come una sorella. Avere una sorella, da figlia unica quale sono, sarà difficile, come sarà difficile stare lontana dai miei genitori e dalla mia famiglia, o parlare e ascoltare inglese tutto il giorno. Sono passati già quindici giorni dal mio arrivo in famiglia e la nostalgia di casa mi ha già investito in pieno senza pietà, ma posso farcela e ce la farò davvero, perché so che quest’esperienza mi renderà una persona diversa e più forte».
Dalle esperienze di queste cinque ragazze baunesi si può imparare tanto. Che il coraggio è qualcosa che spesso viaggia di pari passo con un po’ di nostalgia e un po’ di paura. Che viaggiare è un dono, un dono prezioso che apre la mente e stimola i sensi. Che si può lasciare il cuore nel proprio paese ed essere, allo stesso tempo, cittadini del mondo.
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