Lo sapevate? L’inventore della televisione era di Seui

La sua prima grande invenzione, nel 1900, fu un geniale congegno per evitare lo scontro tra i treni. La scoperta dello studioso di Seui non passò inosservata e venne presto adottata sia dalle grandi società di trasporti americane che da quelle sarde
New York, 1905. Tra i tanti giovani sardi arrivati nella Grande Mela alla ricerca di nuove opportunità c’era anche il ventiseienne Augusto Bissiri. Proveniva da Seui, un piccolo centro della Barbagia Di Seulo, con la valigia ricolma di speranze e di fogli su cui annotava disegni e calcoli: già, perché era un inventore, Augusto. Nel 1906, appena un anno dopo il suo sbarco in America, fu lui ad ideare l’antenato della televisione, un apparecchio capace di trasmettere le immagini da un luogo all’altro. Oggi quasi più nessuno ricorda il suo nome, eppure, senza il suo contributo, probabilmente il mondo di oggi non avrebbe il volto che conosciamo.
Augusto Bissiri era nato a Seui nel 1879 e lì aveva trascorso tutta l’infanzia, frequentando le scuole locali. Durante gli anni delle Superiori si era trasferito a Cagliari e poi ancora a Roma, dove aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza. Tuttavia si era presto accorto che il suo vero talento non si sarebbe espresso nelle aule dei tribunali, ma nel mondo della scienza e della tecnologia. La sua prima grande invenzione, nel 1900, fu un geniale congegno per evitare lo scontro tra i treni. La scoperta non passò inosservata e venne presto adottata sia dalle grandi società di trasporti americane che da quelle sarde: l’allora gestore delle Tranvie del Campidano, Luigi Merello, la mise in azione nella tratta che collegava Cagliari e Quartu.
Ma fu nel 1906, un anno dopo il suo arrivo in America, che Bissiri progettò l’invenzione destinata a entrare nella storia: presso la sede del quotidiano “New York Herald” lo scienziato riuscì, attraverso un macchinario di sua creazione chiamato “Live Picture Production”, a trasmettere un’immagine fotografica da una stanza all’altra. La notizia si diffuse e fece rimbalzare il suo nome su tutti i quotidiani dell’epoca; persino il sindaco di New York gli dedicò una targa, tutt’ora conservata a Seui presso la Casa Farci. Ma le sue ricerche non terminarono qua. Bissiri continuò a perfezionare il progetto e, nel 1917, riuscì ad ottenere un altro straordinario risultato: teletrasmettere via cavo alcune immagini dalla redazione del quotidiano London Daily Mail di Londra alla sede newyorkese del New York Times. Era ufficiale: il tubo catodico aveva appena visto la luce e Bissiri ne registrò il brevetto il 7 agosto 1922.
Tutta la sua vita fu dedicata alla ricerca tecnologica, come dimostrano le tante apparecchiature da lui realizzate: congegni a pedale per girare le pagine degli spartiti musicali, posacenere con spegnimento automatico dei mozziconi, strumenti per la registrazione vocale, nonché una sorta di cerbottana per il lancio di piccoli aerei di legno e un dispensatore di palline a moneta.
Nel 1968 Bissiri si spense nella sua casa di Los Angeles e lentamente la sua figura venne dimenticata. Negli stessi ambienti sardi in cui era stato ampiamente celebrato dopo l’invenzione del “Live Picture Production” (leggiamo sull’Unione Sarda del 22 maggio 1906 “Ai valorosi che, come il giovane Bissiri, per il bene dell’umanità si sacrificano, vada il nostro plauso e la nostra ammirazione”) non si parlò quasi più di lui. Solo a Seui, dove a lui e al fratello Attilio è intitolato il Liceo Scientifico, pare che il ricordo di questo illustre cittadino sia ancora vivo.

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Lo sapevate? I Tazenda cantarono la versione in sardo di “The sound of silence”

Una delle voci considerate più belle e rappresentative della Sardegna degli ultimi vent’anni è senza ombra di dubbio quella di Andrea Parodi, il cantante che dotato di un timbro incredibile, fondò insieme a Gino Marielli e Gigi Camedda il famoso gruppo dei Tazenda. Nel 1991 il trio si esibì sul palco di Sanremo con la canzone “Spunta la Luna dal monte”, ricevendo grande successo. Ma torniamo un attimo indietro nel tempo.
È il 1983 e i Tazenda ancora non esistono. Andrea, Gino e Gigi però, già operativi nel mondo della musica erano allora conosciuti come Coro degli Angeli, riscontrando già in questi anni critiche positive, fra cui alcune nel panorama nazionale che li considerava uno dei migliori gruppoi vocali d’Europa.
Arrivano i successi e nel 1987 pubblicano l’album Misterios, del quale tutti conoscono “Nanneddu Meu” e “Non potho reposare”, i cui versi hanno fatto sognare tanti musicisti e altrettanti amanti della musica, e che diventarono in seguito repertorio dei Tazenda e dello stesso Parodi.
Ma non tutti sanno che all’interno di questo album così acclamato c’è una canzone che ha una particolarità. Si chiama Ninnidu Silenziosu e con il testo di Antonio Strinna, venne registrata dal Coro degli Angeli nel 1984 e cantata in sardo come da tradizione. Questa non è altro che una curiosa versione in sardo del classico della musica “The Sound Of Silence” del popolare duo folk Simon & Garfunkel, formato da Paul Simon e Art Garfunkel.
Il significato della canzone riguarda un momento di profonda riflessione e il silenzio che viene generato. Riportiamo qui il video della canzone, il testo originale in sardo e la sua traduzione in italiano.
Il testo originale in sardo:
Umbra pena de ammentu deo faeddo che-i su ‘entu ca so nìnnidu de arvures in andèras de su tempus. Deo terra de antiga pizinnìa finza muda e suffrende so ìa. In su sonnu ‘e su nuraghe so una ‘oghe chena paghe e m’accero in su silenziu meu, in su sabore de s’avrèschida. Su passadu si che morit cun a mie ma sa notte giughet sempre sa die. E-i sa terra mia ferida faghet naschere sa vida: de fadiga e temporadas est pigadu cust’ isettu meu. A su viaggiu de sa zente, zente mia, so istrintu comente a una pupìa. A su viaggiu de sa zente, zente mia, so istrintu comente a una pupìa, comente a una pupìa.
Testo tradotto in italiano:
Ombra piena di ricordi , io parlo con il vento, sono una ninna nanna di alberi lungo i sentieri del tempo. Io terra di antica giovinezza anche muta e sofferente, sono viva. Nel sonno del nuraghe sono una voce senza pace e mi affaccio nel silenzio, nel sapore dell’alba. Il passato muore insieme a me ma la notte porta sempre il giorno. La mia terra ferita fa rinascere la vita: da fatica e temporali è risorta questa mia attesa. Al viaggio della gente, gente mia, io sono stretto come a una bambola.
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