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In Ogliastra, Salvatore Marongiu coltiva un sogno antico quanto il grano che cresce nei suoi campi: la libertà. Un obiettivo chiaro, quasi una vocazione, che lo ha riportato alla terra dopo esperienze lavorative molto diverse. «La strada mi è sempre stata chiara — racconta — il mio obiettivo è la libertà. Sin da bambino ho avuto una sensibilità particolare per la bellezza della natura, il rispetto del paesaggio e una forte avversione per l’inquinamento e gli sprechi».
Nel 2015, un corso di agricoltura sinergica e un progetto di coltivazione partecipata del grano accendono la scintilla. Nasce così una passione profonda, che lo porterà insieme alla moglie Stefania Demurtas a fondare Tenute Il Maggese, un’azienda agricola che oggi si estende su 27 ettari tra frumento, legumi, agrumi, olivi, aglio e zafferano. «Abbiamo creato questa realtà per avere buone ragioni per non emigrare — spiega — non perché ci sia stato un ritorno economico immediato, ma perché un sogno, un progetto, può darti il coraggio di restare».
Per Salvatore, lanuseino ma da tanti anni residente a Girasole, coltivare non è solo un mestiere, ma un gesto etico e spirituale. «Siamo anime incarnate in questa vita terrena e la cura della terra è una responsabilità morale oltre che tecnica» afferma. Le sue pratiche di agricoltura rigenerativa e agroforestazione sintropica non si limitano a seguire protocolli agronomici: sono esercizi quotidiani di umiltà e gratitudine.
«La rigenerazione del suolo nasce dalla presenza umana consapevole — spiega — la qualità dell’intenzione accelera i processi naturali tanto quanto le tecniche stesse». L’Ogliastra, con il suo patrimonio culturale profondo, è un terreno fertile ma complesso per l’innovazione. «Proporre pratiche nuove qui richiede ascolto e concretezza — spiega — non imponiamo modelli, ma condividiamo esperienze. Quando le persone vedono che la cura della terra porta risultati, l’innovazione smette di sembrare un capriccio e diventa un ritorno ai saperi antichi».
Nel cuore del lavoro di Tenute Il Maggese ci sono i semi antichi, ma anche miscugli evolutivi che si adattano anno dopo anno al clima e al suolo. «Sono semi liberi, senza royalties o vincoli di proprietà intellettuale — sottolinea — e questo garantisce sovranità agricola e sostenibilità economica». Per Marongiu, questi miscugli rappresentano un patrimonio dinamico, capace di evolvere insieme al territorio. «Non sono un’eredità statica, ma un processo vivo di adattamento. Sono, in pratica, i semi del futuro». Nel 2024 l’azienda riceve l’Oscar Green di Coldiretti, con Stefania Demurtas come titolare. Un premio che riconosce non solo l’innovazione agricola, ma anche il valore sociale e ambientale del loro lavoro. «È un attestato di fiducia — dice Salvatore — che ci incoraggia a continuare nella direzione della rigenerazione e della comunità».
In una Sardegna che continua a vedere i giovani partire, Marongiu parla con lucidità del valore di restare. «Chi emigra porta sempre una ferita — racconta — mio zio mi disse un giorno che chi è rimasto ‘se l’è cavata’, perché restare, anche con fatica, ti permette di non perdere te stesso». Ma restare non basta: servono politiche, infrastrutture, formazione e accesso alla terra. «Senza strumenti concreti, il ritorno alla terra resta una scelta per pochi. Bisogna creare condizioni reali per permettere ai giovani di vivere di agricoltura».
Il nome dell’azienda non è casuale. Il maggese è il tempo di riposo del suolo, il momento in cui la terra si rigenera. «Per noi è anche una metafora — spiega — vogliamo che Il Maggese sia un luogo dove anche le persone possano fermarsi, ricaricarsi, crescere». L’azienda è oggi un centro di formazione, accoglienza e scambio: ospita volontari, organizza corsi, feste, laboratori sull’agricoltura rigenerativa e percorsi esperienziali che uniscono natura, educazione e spiritualità. Nonostante l’apertura al pubblico, la priorità resta il lavoro agricolo. «Accogliamo visitatori solo se le esperienze sono reali e partecipative — spiega — niente spettacoli o marketing. Raccontiamo la verità, anche le difficoltà. L’autenticità nasce da lì».
Quando si parla di transizione ecologica, Salvatore non usa mezzi termini: «La transizione è lavoro, non slogan. È osservare, togliere il superfluo, creare connessioni e fare rete. Non serve aggiungere infrastrutture pseudo-green: serve cura, sobrietà e coerenza». Per Marongiu, l’agricoltore del futuro sarà un custode del paesaggio, un innovatore sociale e un produttore di cibo sano, capace di unire conoscenze antiche e strumenti tecnologici. «La tecnologia deve servire a migliorare la vita e liberare tempo, non a disconnetterci dal reale. Il futuro dell’agricoltura è umano, etico e comunitario».
Ogni anno sempre più giovani si avvicinano al suo progetto, attratti da un modo di vivere e di coltivare che restituisce senso e radici. «Chi vibra allo stesso modo arriva — conclude — noi non raccontiamo favole. Coltiviamo cibo vero, relazioni vere, libertà vera».

Salvatore Marongiu con Stefania Demurtas pH Anna Piroddi

Salvatore Marongiu pH Anna Piroddi

Salvatore Marongiu con Stefania Demurtas pH Anna Piroddi
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