La possibilità di raccontare una varietà del reale più inaspettata di qualunque finzione. Lo sceneggiatore e documentarista lanuseino Pietro Mereu racconta i moventi e le passioni che hanno animato la sua vicenda artistica.
Il suo documentario “Il clan dei ricciai” è in corsa per essere ammesso alla cinquina finale del David di Donatello, mentre “Il club dei centenari”, dedicato agli anziani ogliastrini, parteciperò a marzo allo Sguardi Altrove Film Festival, a Milano, nella sezione competitiva “Frame Italia”.
Come nasce l’idea de “Il clan dei ricciai”?
Il progetto nasce nel 2015: recitavo la parte di uno spacciatore in un film “Gli Amici di Freddy”, ambientato nelle periferie cagliaritane. Durante le riprese sono venuto a contatto con una realtà di marginali, quasi del tutto sconosciuta. “Il clan dei ricciai” è una storia di malavita, di chi, una volta uscito di galera, per procurarsi il pane pesca e vende ricci di mare.
L’ambientazione, forse troppo “locale”, della storia è stata un freno alla nascita del progetto?
No, tutt’altro. Il documentario originariamente doveva essere una serie, proposta a DMAX. Poi però è subentrata la Drive Production Company di Nicolas Vaporidis, che ha voluto realizzare il progetto. Si può dire che l’ambientazione abbia aggiunto un po’ di esotismo, ma la storia mantiene un suo carattere universale e ha qualcosa da dire.
Hai diretto documentari su mondi spesso lontani. Che filo rosso individui nella tua produzione?
Sicuramente la narrazione di mondi che stanno scomparendo. I ricciai appunto, ma anche i centenari ogliastrini de “Il club dei centenari”, i benedettini de “I manager di Dio”, o i giocatori del calcio storico fiorentino, nella serie “Senza regole”.
Il tuo primo successo da documentarista è stato “Disoccupato in affito”, realizzato con pochi fondi ma una grande idea. La tua formazione quanto ha influito sul tuo percorso artistico?
Per prima cosa c’è una componente innata: sin da bambino ho sempre scritto, ho avuto la necessità di esprimermi e creare. Da un punto di vista più istituzionale, ho frequentato la Scuola di Cinema a Milano come sceneggiatore. Tuttavia credo che ad aprirmi un mondo sia stato l’incontro con una cottà viva e stimolante come il capoluogo lombardo. Qualunque lavoro creativo poggia su un magazzino di letture, esperienze, viaggi.

Dopo la Scuola ho iniziato il lavoro in TV, come autore: collaborando con Piero Chiambretti, per “Markette”, ho capito quanta professionalità e rigore ci fosse in quel mestiere. “Disoccupato in affito” è stato un accidente di cui vado molto fiero: ho avuto il merito di buttarmi in qualcosa di nuovo.
La tua esperienza con la televisione, che continua tutt’ora, quanto influenza i tuoi documentari?
Direi parecchio. In primo luogo dalla TV ho mutuato un certo utilizzo dell’ironia, come mezzo che potesse cambiare i piani del discorso, alleggerendolo, senza attenuarne serietà e universalità. A ciò si aggiunge ma, è una tendenza generale del documentario contemporaneo, la forte influenza della serialità. Si può notare anche in prodotti documentaristici di altissimo livello, come “Chef’s Table” di David Gelb.
Cosa distingue la tua “mano” nel tuo lavoro di regista?
Lo studio e il rigore: dietro ogni progetto c’è una fase di elaborazione profonda, fatta di lettura e riflessione. Posso dire che ogni mio lavoro migliora in qualcosa i precedenti, anche se forse nessuno ha avuto la potenza di “Disoccupato in affitto” o la compiutezza de “Il clan dei ricciai”.
A ciò aggiungerei la capacità di trovare le persone migliori per assecondare l’idea che ho in mente: non sono un regista tecnico, ho ovviamente la preparazione che serve a fare questo mestiere, ma so scegliere bene i miei collaboratori.
D’altronde credo che questa sia una delle doti principali di un regista, che in ambito documentaristico si trova a dover prendere decisioni su ogni aspetto. Questo elemento è ancora più marcato nei film che ho prodotto in prima persona, con la mia casa, la “Ilex Production”, con sede a Tortolì. La capacità di tessere relazioni e lavorare con le persone è capitale.
Quali sono i tuoi progetti a breve termine?
«A marzo mi recherò in Colombia per un nuovo documentario. Ho poi in mente qualcosa in Ogliastra, di maggiori dimensioni rispetto a “Il club dei centenari”. Nel frattempo presenterò tre progetti seriali ad alcune emittenti televisive.».
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