Ulassai, grande successo per la presentazione del libro di Lorenzo Baldo: “Suicidate Attilio Manca”
Ieri sera ad Ulassai si è tenuta la presentazione di un libro. Non un libro qualsiasi. Uno dei tanti che affollano le biblioteche e, non di rado, annoiano i lettori. Presentati quasi per dovere istituzionale o per alimentare un mercato
Ieri sera ad Ulassai si è tenuta la presentazione di un libro. Non un libro qualsiasi. Uno dei tanti che affollano le biblioteche e, non di rado, annoiano i lettori. Presentati quasi per dovere istituzionale o per alimentare un mercato ormai consunto e distratto di testi che riempiono gli scaffali e che ogni tanto qualche libraio, pietoso, si ricorda di spolverare per fare bella mostra di sé nei palchetti troppo pieni e troppo poco visitati. No. Il libro presentato ieri era, è, di un’altra pasta. E’ un libro duro. Forte. Profondo. Intenso. Doloroso. Straziante. Un pugno nello stomaco. Un groppo in gola che, per quanto ti sforzi, non riesci a buttare giù.
Ieri sera, ad Ulassai, in una sala silenziosa ed attonita, è andata in scena la ricostruzione di uno dei tanti drammi che caratterizzano ed ammorbano, da oltre quarant’anni, la storia italiana: Suicidate Attilio Manca di Lorenzo Baldo, per i tipi di Imprimatur, del 2016.
Le pagine pesanti, taglienti e feroci del libro trasudavano, grondavano, dolore e rabbia mentre si ripercorreva la vicenda assurda e quasi grottesca, tutta italiana di Attilio Manca, brillante e sfortunato urologo siciliano, trucidato, barbaramente, nel febbraio 2014 all’interno della sua abitazione viterbese.
La ricostruzione lucida e precisa dell’autore riempiva la sala, a stento riscaldata, mentre fuori un rigido vento invernale ed una pioggia gelata sferzavano, rabbiosi, i vetri appannati della sala conferenze.
I nomi dei protagonisti dell’intera vicenda si susseguivano incalzanti, si inseguivano, si incalzavano, si urtavano, feroci e famelici, urlandosi contro, digrignando i denti, aggredendosi reciprocamente, mentre le pagine del dramma quasi prendevano forma e mostravano, da lungi, gli occhi sbarrati di un uomo. Le promesse infrante di un destino crudele e beffardo mentre fantasmi assurdi ed accordi sanguinari ed inconfessabili si intravvedevano e si agitavano, convulsi e inafferrabili.
Nello sfondo uno Stato assente, inumano, tiranno, che tradiva il suo popolo, colpiva i suoi figli alle spalle e li barattava per uno snaturato senso di pace sociale, per suggellare accordi disumani ed atroci, immolando ad una ragione di stato incomprensibile ed assurda quanto di più sacro e nobile era stato messo a suo fondamento più alto fin dalla sua costituzione: la propria dignità e la propria integrità.
La voce, un po’ rocca, dei presentatori, Paola Pilia e Giuseppe Cabizzosu, dopo i saluti del sindaco, Gian Luigi Serra, si affiancava a quella dell’autore, seguendolo nelle tormentate e tortuose tappe, ora processuali, ora tristemente e dolorosamente umane, di una storia che rischia, dopo il suo trasferimento alla procura di Roma, di non trovare una risposta, di cadere nella fornace fagocitante delle verità senza prove, delle certezze senza conferma, della crudeltà senza giustificazione.
Il libro come una sequenza lunghissima ed agghiacciante di dubbi, di incertezze, di sospetti, di superficialità ed incompetenze, peraltro ben circostanziate e documentate, di bugie, di mezze verità e di palesi, sfacciate ed efferate bugie e falsità. Una sorta di rosario drammatico nel quale, tra i grani tristi di tanta assurda e crudele nefandezza, ogni tanto risplendeva, almeno, il fuoco del coraggio, il calore di un amore smisurato e dolcissimo, la forza ed il coraggio, la determinazione che reclamava, pretendeva almeno un briciolo di umanità. Solo la verità. Almeno quella. Per il resto, purtroppo, è ben chiaro a tutti che ciò che è andato irrimediabilmente perduto non potrà mai essere recuperato.
A tratti il silenzio in sala era interrotto solo dal vento e dalla pioggia mentre il respiro quasi affannoso del pubblico, assorto, accarezzava, pietosamente, il dolore di una famiglia straziata, offesa, vituperata. Perché il dolore, quando è così forte ed assurdo, smette di essere un dramma personale, di una sola famiglia, e diventa il dramma di tutti. Il dramma di una nazione intera che non può essere accettato, non può e non deve essere tollerato. A nessun costo e per nessuna ragione.
E questo vuole essere il messaggio forte che dalla sala di Ulassai si è levato ieri sera. Un grido di protesta. Forte. Alto. Duro. Un pugno alzato contro le ingiustizie e la sopraffazione, la disumanità e la vigliaccheria, affinché si dia, finalmente, il giusto peso alla verità ed alla giustizia e si tributi il riconoscimento e la doverosa consolazione ad un cuore infranto che da troppo tempo aspetta.
(Giuseppe Cabizzosu)
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