Ogliastrini nel mondo. Daniele Pisu, da Girasole a Oberdorf
Daniele Pisu 30enne di Girasole, si è diplomato all’Istituto alberghiero di Tortolì, con indirizzo sala-bar e lavora nel campo alberghiero come barista (qualche volta anche come cameriere) da quando aveva 14 anni. La sua carriera è iniziata in Ogliastra, ma
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Daniele Pisu 30enne di Girasole, si è diplomato all’Istituto alberghiero di Tortolì, con indirizzo sala-bar e lavora nel campo alberghiero come barista (qualche volta anche come cameriere) da quando aveva 14 anni.
La sua carriera è iniziata in Ogliastra, ma dopo una breve parentesi romana Daniele è tornato nuovamente nella sua terra. Periodo decisivo, perché è stato allora che il giovane ha deciso di preparare le valigie per un trasferimento stavolta definitivo. Destinazione? La Svizzera e più precisamente Oberdorf, un comune di circa 2300 abitanti nel quale vive con la moglie Evelyne.
Quando hai deciso di partire in Svizzera? E perché?
Sono partito sette anni fa dopo aver lavorato come barista in un noto campeggio di Arbatax, perché in quel camping ho conosciuto una ragazza svizzera di cui mi sono innamorato e che da pochi mesi è diventata mia moglie! Dopo esserci frequentati a distanza per due anni ho deciso di provare un’esperienza di lavoro nella sua terra. L’idea era solo di provare una stagione ma dopo il primo stipendio ho deciso di restare. Qui se sei parsimonioso riesci a mettere qualcosa da parte!
Dove lavori ora?
In una struttura gigante, con attorno un gran giardino, che funge da casa di cura, chiamato Sonnmatt, sopra la città di Lucerna, nel cantone Nidwalden (NW). È una delle strutture più vecchie suddivisa in 3 zone: casa di cura, hotel e residence, in quest’ultimo vi sono persone molto ricche. Io lavoro spesso nel residence e a volte faccio anche il turno spezzato, perciò viaggio dalla città in cui vivo ogni giorno ma per fortuna sono solo 30 minuti di distanza.
Quindi non fai più il barista?
No perché qui è difficile da fare, i ristoranti sono aperti come i bar, ovvero chiunque può sedersi anche solo per prendere qualcosa da bere. Da quando sono arrivato in Svizzera ho sempre fatto il cameriere.
Sapevi già parlare la lingua del posto?
No, e all’inizio è stato difficile. Qui vi è poi un grosso paradosso: a scuola si studia il tedesco però poi tutti parlano lo svizzero-tedesco, una lingua che non ha regole grammaticali, e che per questo non si insegna nelle scuole.
È stato facile rapportarsi con gli svizzeri?
In verità con gli svizzeri, a parte con alcuni colleghi di lavoro, non ho tutto questo rapporto. Esco di più con italiani o con i colleghi di lavoro che sono italiani, tedeschi, cingalesi e svizzeri. In generale la Svizzera è piena di stranieri, forse perché gli stipendi rispetto al resto d’Europa sono alti, ma giusti per il costo della vita in questo paese. Però di sicuro dipende da te migliorare, imparare la lingua per poi poter cambiare lavoro e scegliere quello più adatto alle tue esigenze.
Come sono gli ambienti di lavoro?
Il modo di lavorare è più preciso e quindi di conseguenza più stressante. Per esempio in un ristorante ogni volta prima del servizio si fanno 10 minuti di riunione, in cui ti fanno diverse osservazioni. Tutti i locali hanno le divise, mentre in Italia puoi indossare una camicia nera oppure una maglia. La svizzero è sempre alla ricerca della perfezione! In tutto! Soprattutto poi in un ristorante in cui il cliente paga abbastanza per mangiare: per esempio un filetto che da noi può venire a costare 20€ qui in Svizzera non lo paghi meno di 50€, ma nonostante questo il ristorante non è un privilegio, ci si può andare anche 2 o 3 volte a settimana.
In una prospettiva futura… pensi di tornare in Italia?
Se io e mia moglie avremo dei bambini sarà difficile tornare. Il perché te lo spiego con un semplice paragone: la scuola! Qui sono molto più avanti: hanno due livelli di classe (tipo chi è più intelligente e chi invece lo è meno). Non so se è una cosa giusta, forse è un po’ discriminatorio però i ragazzi un po’ “scansa fatiche” in questo modo vengono incentivati a studiare e sono costretti a dare il massimo. Addirittura ai bambini insegnano a 3 anni ad attraversare le strisce pedonali o ad andare in bicicletta. Inoltre, se non sbaglio, è uno degli stati con più laureati. Un altro motivo per cui non penso di tornare in Italia è lo stipendio: uno svizzero medio guadagna 6000€ al mese, neanche a paragone con l’Italia!
Qual è il piatto tipico della Svizzera? Lo proporresti in un ristorante italiano?
Il wurstel con il rösti: un wurstel di vitello con una salsa scura di cipolle, il rosty sono patate grattugiate e poi cotte in padella come una tartina. In Italia non proporrei mai un wurstel! Forse proporrei un altro piatto tipico: il cavolo rosso con lo spezzatino di cervo, qui va molto nel periodo di caccia. In linea di massima vanno molto dei piatti per noi molto insoliti, come la pasta con purè di mela.
Cosa ti manca della tua terra?
Il clima, perché qui è sempre nuvoloso, ma non qualche nuvola qua e là come capita in Sardegna, una cappa grigia continua. Mi manca anche la gente, perché qua sono molto freddi e ognuno pensa sempre a se stesso, il mare e…ovviamente la mia famiglia!
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Cosa spinge una persona a decidere di lasciare tutto, i propri amici, la propria famiglia, le proprie abitudini per passare un anno all’estero in un paese completamente diverso? E’ quello che abbiamo chiesto a Silvia Marongiu, classe 1999, di Lanusei, che a luglio dello scorso anno è partita in Thailandia, col programma Intercultura.
«Gli edifici scolastici sono bellissimi, dotati di ogni confort, quasi sembrano resort. Il problema è che il liceo in Thailandia non prepara all’università. I ragazzi thailandesi non sono ambiziosi, non imparano per il gusto di imparare» spiega Silvia «Quella thailandese è una monarchia che purtroppo non permette alle persone di dare libero sfogo al proprio estro, alle proprie passioni. Sono talmente pieni di attività che non hanno tempo per pensare al loro futuro, sono pieni di nozioni ma non riescono ad esprimere un pensiero critico, quasi avessero tutti la stessa opinione, quasi fossero dei robot».
«Ciò che ho trovato al mio arrivo sono stati una lingua a me totalmente estranea, del cibo a cui pensavo non mi sarei mai abituata, un clima estremo e una cultura, una religione, un universo di cui non sapevo assolutamente nulla. Il primo impatto mi ha sconvolta. Ma ancor più sconvolgente è realizzare giorno dopo giorno che tutto ciò che prima mi impressionava stava diventando normale! Ora, dopo ormai 10 mesi qui, mi viene spontaneo inchinarmi per portare rispetto agli sconosciuti per strada e rispondere alle loro domande in lingua thai, sempre con il sorriso sulle labbra. Ora non ho più difficoltà a fare la preghiera nel modo giusto, quando andiamo al tempio. Ora mi fa piacere indossare l’uniforme per andare a scuola senza perdere tempo a scegliere i vestiti giusti. E quel cibo piccantissimo da cui all’inizio diffidavo, ho scoperto di amarlo. Ho conosciuto tante persone nuove e ho confrontato le mie idee con le loro, traendone arricchimento. Sono riuscita a fare a meno di tante comodità che prima ritenevo essenziali».
«La parte più bella di questa esperienza è stata quando ho smesso di essere una turista e ho iniziato a crearmi una vera e propria vita qui. E la parte più difficile sarà il rientro: dover lasciare la mia casa per tornare a casa. Sembra un controsenso, lo so, ma è la realtà. Qui ho un cuscino che ormai ha la forma del mio viso, mentre quello su cui ho dormito per diciassette anni probabilmente l’avrà già persa. Questo è ciò che mi preoccupa di più: non sentire più mia quella che è sempre stata la mia vita. Non solo perché al mio ritorno tante cose saranno cambiate, come è naturale che sia, ma perché io stessa sarò diversa, guarderò il mondo con occhi nuovi».