Rischio idrogeologico. Allerta arancione anche in Ogliastra

Nel settembre del 1932, Elio Vittorini approda in Sardegna per un viaggio organizzato dalla rivista L’Italia Letteraria, che bandisce un concorso per il miglior resoconto dell’esperienza. Vittorini, allora giovane scrittore, si aggiudica il primo premio ex aequo con Virgilio Lilli. Ma per lui quel viaggio non è solo un’opportunità giornalistica: diventa un momento di rivelazione, una tappa formativa che si cristallizzerà nel breve ma potentissimo testo “Sardegna come un’infanzia”.
Foto Antonio Ballero
Lontano dai toni cronachistici del reportage, Vittorini costruisce una narrazione visionaria, poetica, rarefatta. La Sardegna che descrive è una terra remota, sospesa nel tempo, essenziale e primitiva come l’infanzia dell’umanità. “In Sardegna si torna bambini. Ma non quei bambini d’oggi, no, bambini come si era nel principio del mondo”, scrive in una delle frasi più emblematiche dell’opera.
Per Vittorini, l’isola non è un luogo da visitare, ma una soglia da attraversare. Le pietre, i silenzi, i volti scolpiti della gente sarda evocano una dimensione premoderna e profonda, fatta di durezza ma anche di autenticità. È una Sardegna che parla con la voce del mito, dove ogni gesto quotidiano appare simbolico, ogni paesaggio diventa archetipo.
Foto condivisa da Domenico Melia
Lo stile, frammentario e lirico, è attraversato da immagini forti, allucinate, che più che descrivere, evocano. Vittorini non cerca l’esotismo né il folclore, ma l’umanità essenziale, quella che vive ancora in simbiosi con la terra, il silenzio, la fatica.
Uno dei passaggi più intensi del libro è dedicato a Nuoro, che Vittorini definisce “la capitale del popolo”, una città che le genti delle Barbagie, dell’Ogliastra e del Marghine riconoscono come centro del proprio mondo. Il mercato brulicante è descritto con la precisione del pittore e la sensibilità del poeta: “Uomini e donne, gli uomini in bianco e nero, alcuni in mastruca, con questo caldo! Le donne in rosso e nero, gremiscono le strade spingendo asinelli carichi di mercanzia… Le donne strepitano con uno strepito da bambine, senza risa, accanitamente loquaci. Hanno voci cantanti. Da fanciulle di sedici anni; le vecchie pure.”
Un’umanità antica si muove tra i vicoli assolati, tra casupole che vendono pomodori poggiati su una sedia o mezzi montoni sorvegliati da cani. Tutto è essenziale, polveroso, vero. Anche il paesaggio partecipa di questa visione: i fichi d’India, le cornacchie, le montagne nere e, in lontananza, la gigantesca statua del Redentore sulla schiena del monte Ortobene, evocano un mondo simbolico, quasi sacro.
Sardegna come un’infanzia è un’opera che, pur nella sua brevità, offre uno dei ritratti più intensi e personali dell’isola. È il racconto di un incontro non turistico, ma esistenziale. Vittorini, più che raccontare la Sardegna, la ascolta, la sogna, la attraversa con occhi nuovi, come se davvero fosse tornato bambino. In un’epoca in cui il viaggio è spesso consumo veloce, l’esperienza di Vittorini ci ricorda che ci sono luoghi che si attraversano solo con lentezza, ascoltando. La Sardegna, per lui, non è una destinazione: è un’origine. Si ringrazia il professor Domenico Melia per aver condiviso gli scatti e l’analisi sul testo di Vittorini.