Ogliastra che vive. Successo per la manifestazione “Segnali di cittadinanza” a Bari Sardo

Appare all’improvviso, come un miraggio nella valle verde di Codrongianos: alta, altera, come se da secoli aspettasse il tuo sguardo. È la basilica della Santissima Trinità di Saccargia, forse il più straordinario esempio di architettura romanica in Sardegna, e senza dubbio il più celebre. Con la sua inconfondibile veste bicroma – bianca e nera, elegante come un antico manoscritto – sembra uscita da una favola medievale, sospesa tra fede e leggenda.
Incastonata su uno sperone roccioso, domina la piana con una presenza silenziosa ma potente. La riconosceresti tra mille, anche da lontano: ha il portamento di una regina, la grazia di un’opera d’arte, il mistero di una reliquia antica.
La storia della basilica si intreccia con miti e documenti: nel condaghe del XVII secolo si narra che Costantino I di Torres e la moglie Marcusa, in cerca di un erede, fecero voto davanti ai monaci camaldolesi durante un pellegrinaggio. Un’apparizione sacra li spinse a costruire la chiesa. Quando nacque il piccolo Gonario II, mantennero la promessa e la donarono ai religiosi. Non fu costruita da zero: si innestò sulle rovine di un santuario preesistente. L’anno della consacrazione, inciso nella memoria scritta, è il 1116.
Basilica Saccargia PH Michela Girardi
Ma se la storia affascina, la leggenda incanta: si racconta che ogni giorno, una mucca pezzata – s’acca argia – si inginocchiasse davanti all’antico monastero per offrire il suo latte ai frati. Un gesto così sacro che la terra attorno prese il nome di Saccargia, ovvero “luogo della vacca miracolosa”.
Tra il 1118 e il 1120, maestranze pisane ampliarono il tempio: allungarono l’aula, alzarono le pareti, innalzarono il celebre campanile e aggiunsero una nuova, imponente facciata. Più tardi, forse sotto la mano esperta di artigiani lucchesi, fu aggiunto il portico a tre archi, che ancora oggi accoglie i visitatori come un prologo silenzioso.
All’interno, l’arte continua a parlare: sull’abside centrale sopravvive un affresco del tardo XII secolo, realizzato da un ignoto pittore dell’Italia centrale. È l’unico esempio ben conservato di pittura murale romanica sull’isola, un vero tesoro per occhi attenti.
Nel 1219, le pietre della chiesa furono testimoni delle nozze tra Adelasia di Torres e Ubaldo Visconti, un’unione tra lignaggi e poteri. L’edificio, a pianta a croce commissa, presenta una sola aula che culmina in un breve transetto con tre cappelle absidali.
Basilica Saccargia PH Michela Girardi
Le fasi costruttive si leggono nei muri come in un libro di pietra: quella originaria è visibile nel transetto e nella parte anteriore dell’aula, con il tetto ligneo sorretto da capriate. I blocchi di calcare bianco e basalto nero raccontano la sapienza delle maestranze pisane del Giudicato di Torres. La seconda fase, invece, ha dato alla chiesa il suo slancio verticale e la facciata attuale, restaurata nei primi del Novecento dall’architetto Dionigi Scano.
La facciata, suddivisa in tre ordini, gioca con la luce e l’ombra grazie alla bicromia delle fasce in pietra, alle logge cieche, ai trafori e al portico sorretto da colonne i cui capitelli mostrano creature alate e figure mostruose, quasi a guardia del sacro.
A nord-ovest si erge l’imponente campanile quadrato, collegato direttamente all’interno della basilica. Là dentro, tra le pareti nude e le volte a crociera dei transetti, si respira il silenzio del tempo. Un luogo dove la storia e il sacro camminano ancora insieme.
Basilica Saccargia PH Michela Girardi
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