Tortolì. Raccolta rifiuti porta a porta, continuano i disagi
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In Sardegna hanno nomi diversi: cumbessias per molti, muristenes nell’Oristanese. Piccoli villaggi di pietra, oggi muti e abbandonati, che per secoli si sono accesi di vita solo in occasione delle novene. Luoghi sospesi nel tempo, dove spiritualità e festa popolare si intrecciavano in un rito collettivo unico.
Attorno a una chiesetta campestre – spesso un piccolo gioiello medievale – le casette venivano animate da pellegrini giunti a piedi o a cavallo. All’alba e al tramonto risuonavano i gosos, antichi canti di lode, mentre i fuochi ardevano per gli arrosti e le sere si riempivano di poesie improvvisate, balli e canti tradizionali.
Quella di dormire nei santuari, forse, è un’abitudine antichissima: già nella civiltà nuragica si praticava l’incubatio, il rituale del riposo presso i luoghi sacri per cercare guarigione e contatto con il divino.
Oggi, molti di quei villaggi restano in silenzio per gran parte dell’anno. Ma quando le feste religiose riaprono i portoni delle chiese e le casette tornano ad accogliere i fedeli, l’antico spirito riaffiora. Come se, ciclicamente, la Sardegna ricordasse a sé stessa che la sacralità è anche comunità, memoria e condivisione.