Lo sapevate? In che via è cresciuto a Milano Adriano Celentano e perché la amava tanto?
Il mitico Molleggiato è cresciuto a Milano in una via che poi è diventata famosa per una sua canzone. Ecco perché Celentano era così innamorato di quella zona della città.
Lo sapevate? In che via è cresciuto a Milano Adriano Celentano e perché la amava tanto?
Il mitico Molleggiato è cresciuto a Milano in una via che poi è diventata famosa per una sua canzone. Ecco perché Celentano era così innamorato di quella zona della città.
Adriano visse sin da bambino al civico numero 14, in una via Gluck immersa nel verde della periferia milanese. Proprio nella sua canzone viene raccontato l’ammodernamento della città, con il prato che ha lasciato il posto a quintali di cemento in meno di 10 anni.
Via Gluck si trova in una traversa a pochi passi dal fascio di binari che porta alla Centrale. Adesso è – come cita la canzone – completamente parte della città, abitata da extra-comunitari; la sua casa è in uno stato di semiabbandono, abbastanza degradata.
Si tratta di una canzone biografica: la via Cristoforo Gluck del quartiere Greco della periferia di Milano, zona che nel dopoguerra conobbe una forte urbanizzazione, è la strada dove il cantante ha passato tanti anni della sua vita. Dal testo emerge il nostalgico rimpianto di un mondo perduto, quello dell’infanzia e di parte dell’adolescenza, cioè fino a quando Celentano dovette lasciare il quartiere con la famiglia per andare a vivere in centro, in casa del fratello.
Ecco che cosa disse Celentano in una vecchia intervista su Repubblica della sua vecchia via:
«La scintilla fu quando a quattro anni, mentre giocavo nel cortile al 14 di via Gluck, vidi un raggio di sole. Una parte del cortile era illuminata mentre l’altra metà era in ombra. Iniziai a rotolarmi felice tra la parte illuminata dal sole e l’ombra. Avevo i pantaloncini corti tutti sporchi, erano più grandi della mia taglia, forse appartenevano al maggiore dei miei fratelli, Alessandro, quand’era piccolo. Con una bretella giù e l’altra al suo posto, come solo gli scugnizzi sanno indossare. Scalzo. Scarmigliato, con le guance rosse. Mentre mi rotolavo, mi fermai e mi sdraiai a terra con le braccia e le gambe aperte guardando il raggio di sole che illuminava il cortile che a me sembrava bellissimo. M’inchinai e baciai quel raggio. Avvertii, pur essendo così piccolo, quanto ero felice. Libero di correre sui prati. Di sporcarmi, senza temere nulla, protetto da tutta la famiglia e dai miei amici… Anche loro liberi e felici come me di correre sui prati. Poveri, certo, ma bastava stare insieme e condividere quello che c’era. “Gente tranquilla che lavorava…”.
Ero estasiato, gioioso. Giocavo alla sassaiola, facevo il bagno nel naviglio della Martesana rischiando le “botte” da mia madre che, avendo paura che annegassi, mi rincorreva con la scopa ma io ero velocissimo e non mi prendeva mai. Ecco, quella fu la scintilla che non mi abbandonò più. Scrissi Il ragazzo della via Gluck anni dopo, ma nel tempo che trascorse non smisi mai di avvertire il pericolo che il mondo stava correndo con la cementificazione selvaggia. Evidentemente era innata in me la coscienza ambientalista, un grido di dolore contro chi stava minacciando la vita e il pianeta stesso. Una vera catastrofe che oggi è la causa principale di molti disastri che, mentendo, chiamano “naturali”! Ma la scrissi anche per il dolore che provai quando, adolescente, fui costretto a lasciare la via Gluck per andare a vivere “in centro”, per abitare tutti insieme a casa di mio fratello. Piangevo in continuazione e mia madre era disperata. Non sapeva cosa fare perché scappavo ogni giorno per tornare a piedi in via Gluck per ritrovare i miei amici, ma soprattutto la libertà, i prati e la felicità che per me esistevano solo in via Gluck. Questa canzone non è mai stata nostalgica ma una denuncia sociale in un momento in cui nessuno parlava di ecologia e ambiente».
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