Milano ipocrita: celebra Banksy ma arresta ancora i writer

Milano celebra Banksy ma arresta i writer. È una bella ipocrisia, non trovate? E voi, cosa ne pensate?
Milano ipocrita: celebra Banksy ma arresta ancora i writer.
Milano celebra Banksy ma arresta i writer. È una bella ipocrisia, non trovate? E voi, cosa ne pensate?
Nel 2018 il Museo delle Culture di Milano (il Mudec) aveva inaugurato una mostra dedicata Banksy, l’artista inglese che pone una lente d’ingrandimento sulle contraddizioni della società. L’artista, oggi di fama mondiale, ha impreziosito muri e pareti del mondo con opere più o meno complesse, disegni e caricature che fanno leva sul senso di ingiustizia e incoerenza. Da qui le sue trovate geniali e ribelli come il quadro che si autodistrugge subito dopo l’asta di vendita. La scelta di mantenere anonima la sua identità lo rende sfuggente e inafferrabile ma ovunque Banksy lascia un murales capace di diventare virale in poco tempo
Ma torniamo a quella mostra. L’interesse per quell’evento è tale che il Mudec riceve dal Comune di Milano appoggio e sostegno finanziario per portare avanti la mostra fino alla primavera del 2019. In pratica il maggior sponsor italiano di Banksy è lo stesso ente pubblico che da anni s’impegna a perseguire i writer. Facendosi carico di una guerra nei confronti degli artisti di strada, il Comune di Milano continua a rifiutare in blocco proposte e progetti, si arrampica per non concedere commissioni e spazi da riqualificare. Spesso capita che poi le richieste fatte debbano seguire un iter burocratico complesso, la cui fine va cercata col lanternino. Dunque, in città si cercano e s’incriminano i ragazzi che disegnano sopra un treno in deposito, li si insegue e denuncia sotto le tettoie di Stazione Centrale, però si celebra Banksy.
Fino alla nomina del sindaco Sala i numeri parlavano di 150 arresti e quasi il doppio degli imputati per “imbrattamento dei muri pubblici”, ma è proprio negli ultimi anni che le azioni della polizia contro i writer sono diventate più intense e che l’intolleranza contro gli street artist è diventata lotta per la difesa della città. Portavoce di una guerra già in corso, il sindaco si è fatto rappresentante della parte civile offesa e ha iniziato una battaglia anti-vandalismo molto costosa.
Sembra quindi che la città di Milano abbia scelto di dividere i graffiti in due macrocategorie: da un lato, un graffito mansueto, insignificante, tollerato, che contorna il panorama degradato di alcuni quartieri periferici dove il piccolo writer viene ignorato, in quanto lontano dal centro storico; dall’altro lato, invece, il graffito specchio del malessere comune, della lotta sociale, disarmonico e illegale, cattivo e preoccupante. Un graffito da inseguire e processare perché posto troppo vicino alla luce dei riflettori di una città che vuole apparire pulita. E nella sua pulizia preferisce abbattere un muro che vederlo dipinto di nuovi colori.
L’eredità dell’evento Banksy a Milano lascia una sensazione di amarezza che guarda l’inclinazione del capoluogo lombardo a saltare sul carro del vincitore, sempre, come un misericordioso ambasciatore di libertà, ma solo finché quest’ultima non intacca l’immagine carismatica e un po’ snob del profilo milanese.

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