Delitto del piccolo Loris: condannata a 30 anni la madre, Veronica Panarello
#Italia Il bambino, 8 anni, era stato strangolato e poi gettato in un canale. La madre è stata condannata a 30 anni di carcere
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Trenta anni di carcere per Veronica Panarello, la madre di Loris Stival, strangolato con delle fascette di plastica il 29 novembre del 2014 nella casa di famiglia a Santa Croce Camerina, nel Ragusano. Il corpo del piccolo fu poi ritrovato in un canalone. La madre disse di averlo portato a scuola, ma fu smentita dai video delle telecamere di sorveglianza e cambiò poi più volte versione.
Ieri è stata confermata dalla Cassazione la condanna a 30 anni di reclusione nei confronti della giovane mamma accusata di averlo ucciso, occultandone poi il cadavere.
Il 26 novembre la Panarello dovrà comparire in aula, al Tribunale di Ragusa, al processo che la vede accusata di calunnia nei confronti dell’ex suocero, Andrea Stival. L’ultima versione dei fatti data dalla madre di Loris, come riportato da TgCom, chiamava infatti in causa il nonno del piccolo che, avrebbe ucciso il nipote perché voleva rivelare al padre di una presunta relazione tra l’uomo e la stessa Panarello.
Il 24 gennaio, davanti al Tribunale monocratico di Catania, comincerà invece il processo per le minacce di morte che la donna ha rivolto al suocero a conclusione della lettura della sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania: “Sei contento? Sai cosa ti dico – gli urlò contro -: prega Dio che ti trovo morto perché altrimenti ti ammazzo con le mie mani quando esco…”.
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Radiologo salva la sua gatta in fin di vita con la Tac dell’ospedale: il caso finisce in Procura

"E' stato l'unico modo per salvarle la vita", queste le parole del medico dell'ospedale di Aosta.
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La vicenda che nelle ultime ore ha fatto il giro dei media nazionali e internazionali approda ora in Procura. La magistratura di Aosta ha infatti aperto un fascicolo — al momento senza ipotesi di reato formalizzate — sul caso del radiologo G.F., responsabile della struttura semplice di Radiologia e neuroradiologia interventistica dell’ospedale Parini, che ha ammesso di aver utilizzato le apparecchiature dell’ospedale per sottoporre la propria gatta, Athena, a una Tac e a un drenaggio toracico dopo una caduta di sei piani.
A portare il caso all’attenzione della Procura è stata la stessa azienda Usl della Valle d’Aosta, che ha avviato accertamenti interni sull’episodio. Il medico ha risposto con una lettera, dichiarandosi disponibile a risarcire eventuali danni economici e spiegando le proprie ragioni: «Di professione faccio il radiologo interventista e sapevo di poterla salvare solo con un intervento tempestivo».
Il direttore generale, Massimo Uberti, aveva già sottolineato la possibile rilevanza penale della vicenda: «Qui ci sono anche ipotesi di reato perseguibili d’ufficio. Il pubblico ufficiale ha l’obbligo di segnalazione». Parallelamente è stata attivata una commissione disciplinare con l’iter di verifica dei fatti, dopo che un collega del primario aveva riferito l’episodio.
La gatta Athena era precipitata dal tetto del condominio per sei piani. Portata inizialmente dal veterinario, erano emersi traumi multipli: fratture posteriori, sospetto pneumotorace, possibili lesioni interne. Vista la gravità, il medico si è recato all’ospedale regionale Parini in un orario in cui le tre Tac non erano in servizio programmato. Verificata l’assenza di pazienti in attesa, ha eseguito un esame di pochi secondi e poi il drenaggio toracico che ha permesso all’animale di tornare a respirare.
«Da quel momento la gatta si è gradualmente ripresa» racconta il medico, che sottolinea di non essere in servizio e di aver agito solo per salvare la vita dell’animale. Athena è uno dei cinque gatti che il radiologo ha adottato nel tempo, tutti salvati dalla strada. «Se non avessi fatto tutto ciò che potevo, e la mia gatta fosse morta, non me lo sarei mai perdonato, anche per i miei figli che la adorano».
La storia continua a suscitare un acceso dibattito sulla gestione delle risorse sanitarie pubbliche, tra chi difende il gesto “salvavita” del medico e chi invoca il rispetto rigoroso delle procedure e dell’uso delle apparecchiature ospedaliere. Ora la parola passa alla Procura, che dovrà stabilire se nell’intervento di quella notte si configurino responsabilità penali o disciplinari.
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