Proverbi fiorentini: “Cosa fatta, capo ha”. Ecco come Dante ha reso eterno questo detto
Dalla tragedia di Buondelmonte alla penna di Dante, un proverbio che ci invita a riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte. Curioso di conoscere la storia?
Tra i detti popolari che più risuonano nella tradizione fiorentina e toscana, “Cosa fatta, capo ha” emerge per la sua concisione e la sua profondità. Questo proverbio, immortalato da Dante Alighieri nel Canto XXVIII dell’Inferno della Divina Commedia, porta con sé un significato che unisce decisione, pragmatismo e il peso delle conseguenze delle proprie azioni.
Nel verso 107 del Canto XXVIII, Dante mette in bocca a Mosca dei Lamberti, figura storica e simbolica della Firenze medievale, la frase: “Capo ha cosa fatta”. L’intenzione è chiara: Mosca ribadisce l’importanza di agire con determinazione, senza tergiversare, sottolineando che un’azione compiuta è sempre dotata di uno scopo, un “capo” ben definito.
La citazione, però, non si limita a una riflessione astratta. Essa si colloca in un contesto tragico e storico, legato a uno degli episodi più significativi e funesti della Firenze del XIII secolo: l’assassinio di Buondelmonte dei Buondelmonti, evento che innescò la sanguinosa faida tra guelfi e ghibellini.
Nel 1216, la città di Firenze fu teatro di una vicenda di onore e vendetta che avrebbe segnato profondamente il suo destino. Buondelmonte dei Buondelmonti, nobile appartenente a una delle famiglie più in vista della città, ruppe la promessa di matrimonio con la figlia di Lambertuccio Amidei, disonorando la famiglia. La sua offesa fu doppia: non solo disertò le nozze, ma lo fece passando baldanzosamente da Por Santa Maria, nei pressi della chiesa dove la sua promessa sposa attendeva invano.
Questo gesto, considerato un affronto intollerabile, scatenò la furia degli Amidei, che, secondo la tradizione, si riunirono per decidere come rispondere. Durante questo consiglio, Mosca dei Lamberti pronunciò la fatidica frase: “Cosa fatta, capo ha”, spingendo la famiglia a compiere l’azione risolutiva: l’assassinio di Buondelmonte.
La vendetta ebbe luogo la mattina di Pasqua dello stesso anno, quando Buondelmonte fu brutalmente ucciso mentre si recava alle nuove nozze con una donna della potente famiglia Donati. Questo evento non solo segnò la fine della vita del giovane nobile, ma diede il via a una delle lotte fratricide più devastanti nella storia di Firenze: il conflitto tra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini.
L’espressione “Cosa fatta, capo ha” incarna un senso di risolutezza che si oppone all’indugio e alla procrastinazione. Essa suggerisce che ogni azione deve essere portata a compimento, poiché solo allora acquisisce un senso, un fine. Tuttavia, come dimostra la storia degli Amidei e di Buondelmonte, questo pragmatismo può anche condurre a conseguenze tragiche e irreversibili.
Dante, nel collocare questa frase nel contesto dell’Inferno, ne rivela l’ambivalenza. Se da un lato essa esalta la necessità dell’azione, dall’altro ammonisce sul peso morale e storico delle decisioni affrettate. Mosca dei Lamberti, infatti, è collocato tra i seminatori di discordia, una chiara condanna del suo ruolo nella spirale di violenza che distrusse Firenze.
Oggi, “Cosa fatta, capo ha” continua a essere utilizzato per sottolineare l’importanza di concludere ciò che si inizia, di agire con determinazione, ma anche con la consapevolezza che ogni decisione porta con sé conseguenze. È un proverbio che ci invita a riflettere sull’inevitabilità di affrontare gli esiti delle nostre scelte, ricordandoci, allo stesso tempo, che talvolta l’indugio potrebbe essere preferibile all’azione affrettata.
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