Il Generale Minervini in visita a Sanluri: “Finanzieri, più attenzione in questo momento di crisi”

Mentre l’ascolto suonare la chitarra sul balcone della casa di Villanova, dove ama soggiornare quando è in Sardegna, mi viene in mente Joan Baez.
Kristina Jacobsen l’ho conosciuta solo un’ora prima in uno dei bar del quartiere storico di Cagliari dove ci siamo date appuntamento per chiacchierare del suo nuovo libro “Sing me back home” che però non è solo un libro. E’ una stupenda esperienza sensoriale. E’ una donna del mondo Kristina con un sorriso, una voce, uno sguardo accogliente. Impossibile restare indifferente a questo calore che sprigiona mentre racconta il suo lavoro, la sua missione che è unire le culture, esaltarne la forza e promuovere lo scambio e la pace. Definirlo, questo libro, è limitante possiamo sicuramente dire che si tratta di un songwriting (un libro di canzoni) che però è anche un viaggio nella lingua e nella società sarda. Un testo etnografico e politico. Una lettura che puoi fare con il sottofondo musicale, visto che ogni capitolo si apre con un qr code a cui è collegata una canzone.
Kristina Jacobsen è una professoressa associata in Antropologia ed Etnomusicologia all’Università del New Mexico negli Stati Uniti. Si innamora delle marginature, dei confini, le piacciono le fini del mondo. Un’americana che non ha nulla a che fare con l’impero prepotente di Trump.
Per vent’anni ha studiato i nativi americani della grande riserva dei Navajo. Per questo forse si è innamorata così facilmente dei sardi, gli indigeni mediterranei di una terra sempre conquistata ma mai piegata. Deve averci riconosciuti in qualche modo, perché ogni periferia si assomiglia. “Gli altri Stati americani spesso non sanno che noi del New Mexico abbiamo lo stesso passaporto che hanno loro- lo dice ridendo mentre confrontiamo la sua Terra con la mia – anche i sardi spesso vengono e si sentono altro dall’Italia”.
In fondo da americana conosce bene quella netta distinzione tra Nordisti e Sudisti che abbiamo anche nel nostro Paese, anche senza aver avuto una guerra di secessione ma con una lenta e ancora incompleta unificazione. L’ha notata lei stessa la prima volta che ha visitato l’Italia, quando 15enne è arrivata nel 1993 in Trentino Alto Adige, ospite di una famiglia per un progetto scolastico di scambio culturale. Imparò l’italiano con un accento molto diverso da quello che ha ora. Ora sembra più sarda di molti di noi.
Nel 2016 per caso, ha conosciuto la nostra Isola, un’altra sorta di riserva in cui la lingua c’è stata strappata da una dittatura nazionalista e solo ora, con le costanti politiche regionali di recuperò del patrimonio linguistico, stiamo cercando di rianimare. Era venuta per presentare un suo articolo a una conferenza organizzata dalla facoltà Umanistica e per esibirsi in un concerto da solista insieme al suo caro amico chitarrista Ignazio Cadeddu.
L’anno dopo Jacobsen si è trasferita a Santu Lussurgiu nel Montiferru, terra di canto polifonico ed è diventata visiting professor all’Università di Cagliari. Ed è in questi mesi che oltre a perfezionare l’italiano, ha imparato il sardo, i sardi, meglio dire. Così decide di prestare la sua esperienza di cantante folk americana per un altro esperimento, quello di mischiare le lingue. Resta nell’Isola durante il primo lockdown per il Covid19: “Sono venuta in Sardigna per una ricerca antropologica sul campo e scrivere e registrare un album con cantautori sardi. Sono rimasta attratta dalla sua incredibile cultura dell’ospitalità e dal profondo apprezzamento che la gente qui ha per la musica e il suono. In quelle settimane di silenzio opprimente e odore di disinfettante per le strade, in quel vuoto di profumi e suoni quotidiani, è nata una moltitudine di concerti sul balcone, registrazioni e video domestici. La musica qui ha resistito più di tutto”.
Ma questa enorme esperienza non resta fine a se stessa. La Sardegna l’ha portata a casa sua, dai suoi studenti. Per otto mesi studiano tutto della nostra Terra e poi trascorrono 10 giorni qui a vivere quello che hanno imparato di noi in New Mexico. Ma non è finita qui. Jacobsen tiene a parlarci di Songs of Sardegna. “Si tratta di un laboratorio intensivo, della durata di una settimana, dedicato alla scrittura e alla composizione di canzoni, nel pittoresco paesino di Santu Lussurgiu. Il laboratorio comprende: esercizi quotidiani di scrittura, composizione di canzoni sotto la guida di insegnati qualificati, lezioni di yoga al mattino e, alla sera, riunioni informali per cantare assieme, lezioni mirate a un corretto utilizzo della voce nel canto e un saggio finale aperto a tutti i residenti, che si svolgerà nella piazza del paese. L’esperienza include anche la conoscenza della cultura enogastronomica sarda attraverso un pasto fresco preparato e offerto da un agriturismo locale, la scoperta della musica tradizionale isolana (è incluso nel workshop un seminario sul canto con un insegnante del Canto Sardo conosciuto a livello internazionale) e della lingua e della cultura e una gita al mare, a circa ventiquattro chilometri di distanza dal paese”.
GUARDA IL VIDEO
Kristina Jacobsen suona la canzone country Six Seconds. Il brano racconta di una cavalcatrice di tori. “Si ispira a mia madre, donna forte del sud”. Pensata e scritta in inglese, viene tradotta col supporto del musicista Ignazio Cadeddu.
.