La Polizia, tramite comunicato stampa, ha fatto luce su una nuova metodologia di truffa che è stata più volte segnalata: “Si comunica che, come già avvenuto in passato, stanno giungendo segnalazioni di tentativi di truffa mediante l’invio di pacchi postali da una sedicente “Polizia di Stato” e/o Associazione di Polizia”.

Gli agenti aggiungono: “Al proposito si precisa che nessuna attività della Polizia di Stato è volta alla vendita di qualsivoglia materiale, la Polizia di Stato non invia pacchi e articoli propagandistici. Tutte le iniziative sono gratuite o a fine benefico e sono comunque coordinate dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il tramite delle Questure nelle varie province. Si prega di dare la massima diffusione per la sensibilizzazione delle persone, in particolare gli anziani, che molto più spesso incorrono in queste tipologie di truffe, perpetrate da soggetti senza scrupoli che approfittano della situazione, invitandoli a prestare la massima attenzione e a non consegnare denaro ad alcuna persona che si presenti alla loro porta, non accettare beni o pubblicazioni e, se del caso, richiedere l’intervento delle Forze dell’Ordine telefonando al 113”.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.