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La polemica è esplosa rapidamente sui social dopo la pubblicazione, da parte del conduttore televisivo Federico Quaranta, di alcune immagini che lo ritraevano mentre si arrampicava su un nuraghe durante una visita in Sardegna. Un gesto che ha suscitato indignazione e dure critiche, perché compiuto su uno dei simboli più antichi e preziosi dell’isola, patrimonio archeologico millenario e identitario. Le spiegazioni iniziali non hanno placato le reazioni, alimentando un dibattito acceso sul rispetto e sulla tutela dei beni culturali sardi.
A distanza di un giorno, Quaranta è intervenuto nuovamente, scegliendo il tono della responsabilità e delle scuse. Lo ha fatto con una lunga lettera aperta pubblicata sui suoi canali social, in cui riconosce l’errore e chiede perdono ai sardi, invitando anche a non emulare il suo comportamento e ad allargare lo sguardo sul tema più ampio della tutela dei nuraghi. Di seguito il testo integrale del suo messaggio:
“Lettera aperta
Ho commesso un errore.
Ho agito d’impulso, senza riflettere fino in fondo sulle conseguenze del mio gesto.
Mi sono arrampicato su un nuraghe sardo.
Non l’ho danneggiato, non l’ho vandalizzato, non l’ho profanato.
Ma sono stato imprudente e irrispettoso. E questo basta a rendere il gesto sbagliato.
A chi ama la Sardegna — e io la amo profondamente — chiedo scusa.
Chiedo scusa a chi ha compreso e mi ha perdonato, e anche a chi si è sentito ferito, tradito, arrabbiato.
Non intendo discutere, giustificarmi o minimizzare: ho capito l’errore e sono disposto a pagarne le conseguenze.
Non chiedo indulgenza.
Chiedo solo che il mio gesto non venga emulato.
Anzi: che il mio pessimo esempio serva da monito, perché nessuno ripeta un’azione stupida e superficiale come la mia.
Se possibile, vorrei che questa lettera diventasse anche un’occasione per allargare lo sguardo.
Per indignarsi — giustamente — non solo per un gesto isolato, ma anche per chi i nuraghi li depreda ogni giorno, portandosi via le pietre per farne camini o ornamenti da giardino.
Per chi li abbandona all’incuria, soffocati dalla vegetazione e dal tempo.
Per chi li usa come stalle, depositi, discariche.
Per chi li imbratta.
Per chi li dimentica (molti di più di quelli tutelati), li seppellisce, li rende irraggiungibili invece di proteggerli e raccontarli.
C’è chi mi ha detto che non sono più il benvenuto in Sardegna.
C’è chi mi ha augurato il carcere o peggio.
Capisco la rabbia: nasce dall’amore per una terra che non è solo paesaggio, ma identità, memoria, radice.
Io continuerò ad amare questa isola.
A farlo con rispetto, con trasporto, con responsabilità.
E continuerò a raccontarla nel modo migliore che so fare, perché — nonostante l’errore che ho commesso e l’odio che ho ricevuto — la Sardegna lo merita. Sempre.
Con rispetto.
Federico”.
Le scuse segnano ora un passaggio diverso nella vicenda: dalla polemica al riconoscimento dell’errore, con l’auspicio che l’episodio possa trasformarsi in un’occasione di maggiore consapevolezza sul valore e sulla fragilità del patrimonio archeologico sardo.