Il rapporto tra le donne e Papa Bergoglio: ne parliamo con la direttrice di Radio Kalaritana, Maria Luisa Secchi

Claudia Sarritzu chiacchiera con la collega della radio diocesana sulle riforme in favore delle donne e non solo fatte da Papa Francesco
Chiedere a un capo religioso di essere a favore dell’aborto, nel mondo di oggi, risulta a nostro avviso parecchio ingenuo. Se anche la politica non riesce ancora a fare pace col corpo delle donne, chiederlo alla Chiesa ha poco senso in quanto non è realizzabile essendo la Chiesa stessa per natura la struttura patriarcale per eccellenza. Ciò che però è sotto gli occhi di tutti, è che Papa Francesco abbia avuto un rapporto col femminile più sereno e moderno.
La sua linea religiosa, riguardo alle donne, è un argomento interessante ma non facile da tracciare. Per questo abbiamo chiesto alla direttrice di Radio Kalaritana, Maria Luisa Secchi di rispondere ad alcune domande sulla figura del Pontefice appena scomparso e di quanto realmente ha rivoluzionato parti dottrinali e non solo della Chiesa. Maria Luisa Secchi è direttrice dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali da gennaio 2025. Giornalista di Radio Kalaritana dal 2009 e direttrice dell’emittente radiofonica dallo scorso anno, laureata in filosofia. Le è stato affidato anche il coordinamento delle attività comunicative della Fondazione Kalaritana Media, che include il settimanale Kalaritana Avvenire, Radio Kalaritana, il sito Kalaritanamedia.it e i relativi canali social. E’ la prima donna in Diocesi ad avere assunto questo ruolo.
Che rapporto ha instaurato Papa Francesco col femminile? Partendo dalla sua devozione per la Madonna, secondo te quali sono stati i passi avanti più significativi di questo pontificato che riguardano le donne?
Papa Francesco ha mostrato fin da subito una grande attenzione prima di tutto nei confronti delle persone, in quanto tali, con grande interesse verso la dimensione del femminile, declinata anche attraverso la sua profonda devozione mariana, semplice ma intensamente radicata. L’immagine di Maria come Madre, donna forte e silenziosa, accompagna molte sue riflessioni. Pensiamo al legame con Nostra Signora di Bonaria, alla quale volle rendere omaggio sin dai primi mesi della sua elezione. Quello a Cagliari, nel settembre 2013, fu il primo dei viaggi del suo pontificato, dopo quello lampo a Lampedusa nel luglio dello stesso anno. Occasione quella dalla quale emerse la denuncia della «globalizzazione dell’indifferenza», e il suo costante invito a riconoscere l’umanità di chi fugge da guerra e povertà, sono tra i gesti e le parole più forti del suo magistero sociale. Ma oltre alla dimensione spirituale, mi piace sottolineare quanti passi concreti abbia compiuto verso un maggiore riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa: penso alle nomine di donne in ruoli decisionali nella Curia, come membri di Dicasteri, oppure alla riflessione sul diaconato femminile.
Non sono rivoluzioni ma segni di un cambiamento in corso, sempre sul solco del messaggio evangelico, unica vera rivoluzione nella sua perenne attualità. Francesco ha sempre voluto ascoltare con le “orecchie del cuore”, come suggeriva a noi giornalisti e giornaliste, più che dettare soluzioni preconfezionate, e questo è un passo prezioso.
È stato il primo pontefice ad aprire ai diritti civili. Quali sono state le sue frasi più rivoluzionarie secondo te?
Una delle sue frasi più forti resta: «Chi sono io per giudicare?», riferita a tutte le persone che cercano Dio. È diventata simbolo di un cambio di tono, prima ancora che di dottrina. Francesco ha voluto riportare al centro la misericordia, lo sguardo accogliente, indicendo anche un Giubileo straordinario su questo tema, nel 2015. Durante l’Angelus dell’11 ottobre 2020 il Papa disse: «Il Signore non si arrende al rifiuto e anzi allarga l’invito anche ai più lontani, senza escludere nessuno, perché nessuno è escluso dalla casa di Dio. I servi escono dalla città e raggiungono le strade di campagna, i luoghi dove la vita è precaria. Ad accettare l’invito sono dunque gli esclusi, coloro che non erano mai sembrati degni di partecipare a una festa». Francesco in quell’occasione aggiunse andando a braccio: «Anzi: il padrone, il re, dice ai messaggeri, “chiamate tutti, buoni e cattivi.
Tutti!” Dio chiama i cattivi, pure. “No, io sono cattivo, ne ho fatte tante (…)”. Ti chiama: “Vieni, vieni, vieni!”. E Gesù andava a pranzo con i pubblicani, che erano i peccatori pubblici, lì, erano i cattivi … Gesù, Dio non ha paura della nostra anima ferita da tante cattiverie, perché ci ama, ci invita». Nel suo pontificato, ha assunto un ruolo decisivo nel richiamare l’attenzione sui diritti degli ultimi: penso in particolare ai migranti, agli scartati, a chi non ha voce. Ha saputo dare dignità alle storie dimenticate, parlando non solo ai credenti, ma a tutta l’umanità.
Il rapporto del Pontefice con l’ambiente lo ha reso il Papa più vicino alla sensibilità della Generazione Z?
Sì, e non solo per l’enciclica Laudato Sì, che è diventata quasi un manifesto ecologico globale. Francesco ha saputo parlare di ambiente in un modo che va oltre la tutela della natura: collegandolo alla giustizia sociale, al rispetto delle generazioni future, alla cura del «grido della terra e dei poveri». Questo linguaggio risuona fortemente nei più giovani, che cercano coerenza, visione e responsabilità. In un’epoca in cui spesso la Chiesa è percepita come distante, lui è riuscito ad avvicinarsi anche a chi non si riconosce nella fede, parlando la lingua dell’etica e dell’impegno condiviso.
Secondo te la Chiesa sceglierà un Papa progressista, sulla scia del percorso compiuto da Bergoglio o opterà per uno più conservatore?
È sempre difficile, se non impossibile, avanzare delle ipotesi che poi abbiano un riscontro concreto. Senza dubbio è un fatto oggettivo che papa Francesco nei suoi dodici anni di pontificato abbia aperto delle strade che non potranno essere semplicemente ignorate. Una fase di cambiamento credo sia fisiologica, dettata dalla successione stessa. Ma ritengo che il cammino della Chiesa abbia trovato, anche in questi anni di pontificato di Francesco, ulteriori conferme dei principali capisaldi del Vangelo: fratellanza, collegialità, ascolto, attenzione agli ultimi, inclusione. Insomma, i papi non “inventano”, ma incarnano attraverso il loro ministero, il Verbo di Dio che si è fatto Uomo. Il prossimo successore di Pietro potrebbe avere uno stile diverso, ma non per questo verranno meno i principi. La semina è avvenuta e la Pasqua che abbiamo celebrato nei giorni scorsi ce lo ribadisce: la luce ha sconfitto le tenebre. A ognuno di noi auguro di poter trovare la propria.
“Il lavoro è principio di progresso sociale”: a Sant’Efisio il messaggio del sindaco Zedda tra fede e diritti

Ma il messaggio del primo cittadino non si è fermato alla sola dimensione spirituale e identitaria dell’evento. In linea con il significato del Primo Maggio, Zedda ha voluto evidenziare anche il valore sociale della giornata: “Il mio pensiero va inoltre a chi non ha un’occupazione, a chi ha smesso di cercare lavoro, a chi lotta per avere riconosciuti i propri diritti e la parità retributiva, alle tante morti bianche. Il lavoro deve essere stabile, sicuro e ben remunerato. Il lavoro è principio di indipendenza e progresso sociale.”
La città si è stretta oggi attorno al suo Santo più amato per celebrare la 369ª edizione della Festa di Sant’Efisio, una delle processioni religiose più suggestive e partecipate della Sardegna e d’Italia. In un caleidoscopio di colori, tra traccas addobbate, costumi tradizionali e canti sacri, migliaia di fedeli hanno accompagnato il simulacro del Santo lungo le vie del centro, dando il via al pellegrinaggio che condurrà il martire guerriero fino a Nora, come da voto secolare fatto dalla città nel 1656 per invocarne la protezione contro la peste.
Alla cerimonia ha partecipato anche il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che ha voluto rivolgere un pensiero speciale alla cittadinanza in occasione del Primo Maggio, giornata che quest’anno coincide con la grande festa religiosa: “Buon Sant’Efisio, buon Primo Maggio. In questo giorno speciale per la nostra città e la Sardegna, ringrazio l’Arcivescovo, l’Arciconfraternita del Gonfalone, i devoti, i fedeli, le comunità isolane per aver partecipato a questa festa di popolo, i dipendenti del Comune e tutte le persone coinvolte nella manifestazione.”
Ma il messaggio del primo cittadino non si è fermato alla sola dimensione spirituale e identitaria dell’evento. In linea con il significato del Primo Maggio, Zedda ha voluto evidenziare anche il valore sociale della giornata: “Il mio pensiero va inoltre a chi non ha un’occupazione, a chi ha smesso di cercare lavoro, a chi lotta per avere riconosciuti i propri diritti e la parità retributiva, alle tante morti bianche. Il lavoro deve essere stabile, sicuro e ben remunerato. Il lavoro è principio di indipendenza e progresso sociale.”
La Festa di Sant’Efisio si conferma così non solo come un rito di profonda devozione popolare, ma anche come un momento di riflessione collettiva sull’identità, la solidarietà e le sfide contemporanee della società sarda. Un appuntamento che, anno dopo anno, continua a unire fede e impegno civile, tradizione e futuro.
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