Sardegna, nato anche il terzo pullo: la famiglia di falchi pescatori ora è al completo
Ogni passaggio di questo eccezionale processo è stato ed è monitorato dalle telecamere presenti sul posto.
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La famiglia di Falchi pescatori è finalmente al completo. Nella giornata di giovedì è nato anche il terzo pullo nel nido di Capo Caccia. Qui, dopo aver ritrovato casa ad inizio anno, la coppia di rapaci ha completato le fasi dell’accoppiamento fino ad arrivare alla deposizione di ben tre uova.
“Un evento straordinario e dall’immenso valore naturalistico che certifica la qualità delle condizioni in cui si trova a vivere queste specie di uccelli nell’area protetta di Porto Conte e Amp”, commentano dall’Ente Parco.
E, come già divulgato, ogni passaggio di questo eccezionale processo è stato ed è monitorato dalle telecamere presenti sul posto. Questo grazie ad una partnership nazionale tra il Parco di Porto Conte coi parchi toscani Parco Nazionale Arcipelago Toscano, Parco della Maremma, Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, il Parco Nazionale dell’Asinara – Area Marina Protetta e la Regione Sardegna, nell’ambito del progetto di tutela del Falco Pescatore. Per restare sempre aggiornati sulle immagini della famiglia di falchi di Capo Caccia, si può scaricare l’app dell’Ecomuseo dal sito di Alghero Parks.
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Quando in Sardegna la cultura resta sola: la riflessione della manager culturale Giuditta Sireus

«Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».
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Negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso il dibattito sul rapporto difficile tra amministrazioni locali e organizzatori di festival ed eventi culturali. In molti casi, gli ideatori di progetti culturali hanno denunciato una mancanza di sostegno, che talvolta li ha spinti a spostare le proprie iniziative altrove, alla ricerca di contesti più accoglienti. In altri casi, gli stessi amministratori non si sono presentati agli eventi, non hanno preso parte alle iniziative e sono rimasti distanti dal tessuto culturale che avrebbero dovuto promuovere. Questa distanza istituzionale, oltre a segnalare disinteresse, contribuisce a far sentire i progetti isolati e poco valorizzati.
Per riflettere su questo fenomeno abbiamo chiesto un parere a Giuditta Sireus, manager culturale e direttrice artistica del Club di Jane Austen Sardegna. Le sue parole sono state nette e le riportiamo integralmente:
«Esprimo una preoccupazione sempre più profonda verso quelle comunità che, in modo sistematico o silenzioso, non sostengono i progetti culturali e le iniziative culturali che nascono e crescono nei propri territori, salvo poi vederli riconosciuti, apprezzati e applauditi altrove», ha spiegato Sireus. «Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».
Secondo Sireus, la mancanza di sostegno non è mai neutra. Può assumere forme economiche, morali, istituzionali, ma anche semplicemente manifestarsi come assenza: un silenzio pesante che incide sulla vitalità dei territori e sulla possibilità stessa che la cultura continui a essere un motore di crescita. «La cultura non è un ornamento né un esercizio autoreferenziale — sottolinea —. È crescita collettiva, condivisione, apertura. È uno spazio comune che vive solo se viene attraversato, sostenuto, difeso».
Non sostenere ciò che nasce sul proprio territorio, aggiunge, significa rinunciare a una parte dell’identità collettiva. Ma rivendica anche la scelta della cosiddetta “barrosia”: restare, anche quando il contesto sembra ostile. «Rimanere non per rassegnazione, ma come dichiarazione di esistenza. Restare per continuare a seminare, per chi apprezza, per chi riconosce il valore di ciò che viene proposto. Restare per alimentare un disturbo positivo: accendere dibattito, stimolare confronto, creare possibilità di bellezza».
Un appello diretto, infine, agli amministratori pubblici: «Sostenere la cultura non è un gesto opzionale, né una concessione. È una responsabilità politica. Ogni assenza, ogni mancata partecipazione, è una scelta che produce conseguenze. Quando un progetto culturale viene lasciato solo, non perde solo chi lo porta avanti: perde l’intera comunità».
Le parole di Sireus tracciano un quadro chiaro e urgente: senza un sostegno consapevole e continuo, senza la presenza attiva di chi amministra e governa i territori, i progetti culturali rischiano di fiorire altrove, privando le comunità del proprio capitale creativo. Restare, seminare, sostenere: queste sono le parole chiave per trasformare la cultura in vero motore di crescita collettiva.
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