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“Quando arrivo a Cagliari sono un bambino”. Così inizia la poesia che Franco Arminio, poeta e paesologo tra i più amati d’Italia, ha dedicato alla città in occasione della sua breve permanenza nel capoluogo sardo per alcune presentazioni letterarie. Un testo semplice e luminoso, pubblicato sui suoi canali social, che è insieme dichiarazione d’amore e confessione intima.
In poche righe, Arminio intreccia memoria e identità, infanzia e mito, lasciando emergere il legame profondo con un luogo che sembra risvegliarlo ogni volta. “Sono nella città di Gigi Riva”, scrive, evocando il simbolo per eccellenza non solo dello sport, ma anche di un modo di essere cagliaritano: schivo, leale, autentico. Riva, l’eroe silenzioso di un tempo in cui il poeta si riconosce ancora, diventa figura della purezza perduta, dell’infanzia che sopravvive nelle passioni che non si dimenticano.
Nella poesia, la luce di Cagliari – “che allora non sapevo com’era bella” – si trasforma in rivelazione. È una luce che parla di consapevolezza, di maturità, di un ritorno che non è solo geografico ma esistenziale. “Vivere è sapere che non si entra mai nella propria vita”, scrive Arminio, come se ogni approdo fosse sempre un inizio mancato, un tentativo di riconciliarsi con ciò che si è stati.
Il poeta campano, da sempre attento alle anime dei luoghi e ai paesaggi interiori che custodiscono, trova in Cagliari una geografia dell’anima: una città che lo riporta a sé stesso, che lo riaccende nel ricordo di un bambino che sognava di essere Gigi Riva.