Al via Sinnova, Solinas: “Sardegna polo attrattivo per innovazione e ricerca”
«Il nostro paesaggio, il nostro clima, il fatto che la Sardegna sia un luogo vivibile – ha evidenziato il presidente della Regione - è il presupposto fondamentale perché possa essere attrattiva per i ricercatori di tutto il mondo che possano decidere di sviluppare qui le loro ricerche».
«Stiamo consolidando l’immagine di una Sardegna come ecosistema naturale e attrattivo per la ricerca e l’innovazione». Lo ha detto il presidente Regione, Christian Solinas, aprendo questa mattina, negli spazi di Sa Manifattura a Cagliari, Sinnova 2019, la settima edizione del Salone dell’innovazione.
«Siamo convinti – ha aggiunto Solinas – di avere in quest’Isola meravigliosa tanti punti di forza. Il turismo è uno di questi, come il comparto agricolo e il nostro grande patrimonio materiale e immateriale di conoscenze, tradizioni e cultura. Ma in un mondo che si appresta a sfide globali non possiamo essere assenti dal terreno della tecnologia, delle sfide digitali che quotidianamente, in ogni Paese, segnano l’attività politica del momento».
«Il nostro paesaggio, il nostro clima, il fatto che la Sardegna sia un luogo vivibile – ha evidenziato il presidente della Regione – è il presupposto fondamentale perché possa essere attrattiva per i ricercatori di tutto il mondo che possano decidere di sviluppare qui le loro ricerche. Questo già avviene, grazie alla collaborazione stretta tra i due Atenei della Sardegna, Sardegna Ricerche, il sistema delle imprese e la Regione. Penso ai primi esempi positivi, come il Distretto aerospaziale con la sua capacità di attrarre investimenti. Abbiamo ospitato qui anche un premio Nobel per la Fisica, il professor Arthur McDonald, e i grandi player internazionali del settore come la Nasa e l’Agenzia spaziale europea. Sono stato qualche mese fa a Roma al ministero dell’Università per supportare la candidatura del sito di Sos Enattos a Lula per ospitare nell’Isola il Progetto ET. Insomma, ci sono una serie di settori della ricerca e dell’innovazione nei quali il brand Sardegna comincia ad avere affidabilità e una forte attrattività».
«La Sardegna – ha concluso il presidente Solinas – è impegnata come sistema per costruire quest’immagine che può creare benessere e lavoro. Sogniamo una Sardinia valley della ricerca e dell’innovazione, su questo vogliamo scommettere e lavorare. E in questo senso trovo molto positivo, oltre alla Sinnova Academy, il progetto di andare nelle scuole per portare il messaggio di come la tecnologia e la digitalizzazione siano opportunità per il futuro e possano quindi dare ai nostri giovani alternative di percorsi formativi che dovranno scegliere di lì a poco per entrare nel mondo del lavoro».
Oggi all’inaugurazione di Sinnova, con gli assessori Anita Pili e Giuseppe Fasolino. La Sardegna può essere un polo attrattivo per innovazione e ricerca. #sinnova #sardegna #innovazione #tecnologie #futuro
Gepostet von Christian Solinas_presidente am Donnerstag, 3. Oktober 2019
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La Presidente Todde su Sa die de sa Sardigna: “Sforziamoci di inventare ciò che vogliamo la nostra isola diventi”
"Da troppo tempo siamo intrappolati in un racconto che è “contro”. Un racconto in cui altri hanno il potere di decidere della nostra vita e a noi non rimane che ribellarci per rivendicare un trattamento meno opprimente"
La presidente della Regione Alessandra Todde ha partecipato oggi, in Consiglio regionale, alle celebrazioni della Sa Die de sa Sardigna.
Di seguito il suo intervento.
Presidente Comandini,
consigliere e consiglieri, ragazzi e ragazze, noi sardi abbiamo diritto a festeggiare noi stessi e la nostra storia. Ed è con emozione che prendo la parola per celebrare con voi “Sa Die de sa Sardigna”.
Per troppo tempo ci siamo raccontati che di storia non ne avevamo, dando per buono che il nostro passato fosse solo un susseguirsi di dominazioni, un vuoto di vera storia, quella con la S maiuscola, quella prodotta da soggetti attivi che lottano, creano, sognano. Oggi siamo qui a ricordare a noi stessi, e a chiunque ami questa terra, che abbiamo avuto una storia nostra, imbevuta di mondo, intessuta di grandi aspirazioni, certo complicata da cadute ma anche ricca di momenti alti. Siamo un popolo che ha affrontato contraddizioni ma anche depositario di grandi potenzialità che ancora dobbiamo dispiegare totalmente.
Conoscendo questa storia, condividendola, meditandola, traducendola giorno dopo giorno noi costruiamo gli strumenti per alimentare il nostro desiderio di unità, libertà e prosperità.
Per questo dobbiamo festeggiarci senza incensarci: Sa Die non è e non deve essere un giorno di parole roboanti a compensazione degli altri 364 giorni dell’anno. Sa Die non è e non deve essere una sbornia di fierezza o di rivalsa che ci esime dal fare i conti con la nostra coscienza e la nostra azione politica ogni giorno dell’anno.
Sa Die non è il fine ma è un impegno. L’impegno a conoscerci, a fare i conti con noi stessi. Per migliorarci, per agire in modo differente. L’autodeterminazione, lo abbiamo detto, cammina sulle spalle di un popolo istruito. Un popolo consapevole di sé. La nostra coscienza nazionale di sardi è un compito, e Sa Die è l’occasione per assumere l’impegno a svolgere questo compito con slancio rinnovato, costante, convinto, chiamando alla partecipazione ogni donna e uomo di Sardegna.
A maggior ragione lo dico parlando a voi giovani, che siete i costruttori del presente e del prossimo futuro.
Il nostro patto generazionale si è rotto e possiamo ricostruirlo attraverso la conoscenza della nostra storia che ci aiuti a creare una nuova comune coscienza collettiva.
Sa Die non è un giorno solitario: non lo fu allora e non deve esserlo oggi. Gli eventi che commemoriamo non iniziarono e non finirono in quel 28 Aprile 1794. Quella giornata di sollevazione – che la parte più timorosa della classe dirigente immediatamente bollò come “emozione popolare” – affondava le sue radici alla metà del Settecento, nella riscoperta da parte dei sardi della loro diversità nazionale, così come nella crescente consapevolezza popolare di una condizione di ingiustizia di cui il feudalesimo era il segno più appariscente. Questa corrente, alimentata carsicamente dalla nostra lunghissima storia di sovranità, testimoniata dal rifiorire della lingua sarda, si alimentava al contempo delle correnti di pensiero illuministe, riformiste, rivoluzionarie che attraversavano l’Europa.
Per questo Sa Die fu più di una ribellione estemporanea. Per questo il suo culmine non è la cacciata temporanea della classe dirigente sabauda e la sua esemplarità non risiede nello spirito di rivendicazione che innerva le “cinque domande” che la classe dirigente sarda rivolse con ingenua fiducia al sovrano sabaudo.
Sa Die ci parla di tempi costituenti. Tempi in cui un parlamento riprende vita, la virtù patriottica accende gli animi, le nostre comunità sperimentano patti federativi per liberarsi dal giogo feudale, una parte importante della classe dirigente sarda pone la felicità e la dignità della Nazione sarda come suo obbiettivo.
“Un Regno non mai Colonia d’alcun altra Nazione, ma separato ed indipendente dalli Stati di Terraferma”, così si esprime il Parlamento sardo una volta autoconvocato nel 1793.
“La Nazione Sarda contiene in sé stessa delle grandi risorse per potere sviluppare una grande forza coattiva, onde fare rispettare la sua costituzione politica”, così recita L’Achille della Sarda Liberazione, uno dei pamphlet simbolo del triennio rivoluzionario sardo.
Non è questa l’occasione per discutere su come e perché questo spirito si sia infranto, tanto da arrivare a noi offuscato se non completamente dimenticato. L’occasione odierna è piuttosto quella di guardarci nello specchio della storia e capire insieme se, proprio grazie a questa storia, possiamo fare di più e meglio per la nostra gente e la nostra terra. Se possiamo trovare in essa alimento per delle sfide enormi, come quelle di chi deve affrontare le molteplici crisi che sembrano condannare la Sardegna a un destino di spopolamento e spoliazione.
Nel 1798, nel suo Essai sur la Sardaigne indirizzato da Parigi al Parlamento Sardo, il grande giurista sassarese Domenico Alberto Azuni scriveva:
“Il mio unico scopo è ricordare alla Nazione lo studio dell’economia politica, e di stimolarla a mettere ogni cura nel commercio, nell’industria, nelle manifatture, nella navigazione. La posizione dell’isola al centro del Mediterraneo, tra i due grandi continenti d’Africa e d’Europa; la molteplicità delle sue produzioni, le cui considerevoli eccedenze possono essere annualmente esportate; la sicurezza dei suoi porti; la ricchezza dei suoi mari, dovrebbero renderla consapevole che essa è destinata dalla Natura ad avere un rango distinto fra le Nazioni commercianti dell’Universo”.
Nel 1799, nel suo Memoriale scritto dall’esilio, il leader della Sarda Rivoluzione, Giovanni Maria Angioy, diceva:
“Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa”.
Queste parole di fiducia forse suonano lontane. E ancor più lontano suona forse il loro presupposto: “testimoniare pubblicamente l’attaccamento alla patria”, contribuire alla “felicità della Nazione sarda”, fare della Sardegna uno Stato d’Europa.
Il punto non è risolvere la distanza fra noi e quel passato in un giorno, tantomeno con un discorso. Il punto è non aver paura a ricordare queste parole e quello spirito, anche queste parole e quello spirito, per cui tanti sacrificarono la loro vita. Se avremo la forza di fare i conti, da domani, nel nostro concreto operare – come Governo, come Parlamento, come classe dirigente, come società sarda nella sua interezza -, con questo lascito, allora apriremo davvero una via, difficile ma necessaria, ad una diversità consapevole, effettiva, produttiva.
In altre parole, mentre celebriamo, abbiamo l’occasione di domandarci se sia meglio proseguire con una storia di rivendicazione, in cui noi sardi chiediamo ad altri di farsi carico dei nostri problemi e delle loro soluzioni, o se non sia il caso di entrare in una fase di reale autodeterminazione, in cui plasmare una nuova politica sarda, in cui costruire con tutta la passione e l’intelligenza possibile delle istituzioni al pieno servizio dei sardi e della Sardegna.
Il primo modo per cambiare la propria storia è raccontarla in modo diverso. È raccontarci in modo diverso. Anche a costo di mettere in discussione quegli stereotipi e quell’orgoglioso senso di identità che dietro un velo di confortante abitudinarietà nasconde la difficoltà a darsi valori alti e obbiettivi chiari. Motivi di unità. Motivi per avanzare.
Da troppo tempo siamo intrappolati in un racconto che è “contro”. Un racconto in cui altri hanno il potere di decidere della nostra vita e a noi non rimane che ribellarci per rivendicare un trattamento meno opprimente.
Ma questa non è la nostra storia. Non è l’unica che il nostro passato ci ha lasciato in eredità. Non è la migliore che possiamo raccontare a noi stessi e, soprattutto, ai nostri figli e alle nostre figlie. C’è una storia di autodeterminazione tutta da scrivere, tutta da fare.
E allora quando cantiamo le strofe di ‘Su patriotu sardu a sos feudatarios”, scritto da Francesco Ignazio Mannu nel 1795, durante i moti rivoluzionari e dal 2018 inno della Sardegna, andiamo oltre la rivendicazione e sforziamoci di costruire, progettare, inventare ciò che vogliamo la nostra isola diventi.
Sa Die de Sa Sardigna è l’occasione per ricordarlo a noi stessi.
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