“La mia storia è simile alla storia di moltissimi altri palestinesi della mia generazione. Sono nato in un paese a nord ovest di Gerusalemme che si chiamava Beit Nuba. La popolazione palestinese fu espulsa completamente dalle forze di difesa israeliane durante la guerra dei sei giorni del 1967. In seguito è stata rasa al suolo dagli ingegneri militari con esplosioni controllate e sulle sue fondamenta è nato l’insediamento israeliano di Mevo Horon nel 1970. Proprio lì, sorge parco Canada chiamato così perché fu finanziato dal governo canadese”.
Fawzi Ismail è il presidente di Sardegna Palestina. Ci ha raccontato la sua storia e lo ha fatto con voce ferma, lucida, abituata in qualche modo a raccontare le ingiustizie subite. Calmo e mai sfiorato dal rancore o dall’odio ha rivissuto con noi quei giorni lontani per ricordarci che il dramma palestinese non nasce il 7 ottobre 2023 ma 80 anni fa.
“Ricordo molto bene il 5 giugno del 1967, era l’alba e dormivamo ancora tutti quando siamo stati cacciati a colpi di proiettili e cannoni. Ricordo la fuga verso est, per rifugiarci in Giordania. Attraversato quel confine inizia la mia storia di profugo. Mio babbo lo era diventato molto prima, quando nel 1948 a causa della fondazione dello Stato di Israele sulla terra di Palestina, era stato cacciato da Rafah. In Giordania abbiamo vissuto in campi profughi organizzati dalle Nazioni Unito. L’ho vissuta da bambino questa vita e non la auguro a nessuno”.
Fawzi conosce, perché l’ha vissuta in prima persona, la difficoltà di reperire cibo e acqua. La totale assenza di privacy perché si viveva accanto a sconosciuti divisi solo da tende. “Impossibile dimenticare la tristezza e lo sconforto negli occhi dei miei genitori. Avevano perso tutto, case, lavoro, terra. La loro vita. Ma la frustrazione più grande era quella di non poter rispondere alle esigenze di noi figli. E per un genitore questo è terribile”.
Ma nonostante tutto sei andato avanti?
Sì, in quel campo profughi ho fatto tutte le scuole fino alla maturità. Ma non si cancella quella tristezza che mi ha sempre accompagnato. Non avere un posto dove poter vivere dignitosamente e sapere che anche tanti altri familiari erano stati costretti a scappare in varie parti del mondo, è una cosa terribile. Nel 1980 i miei genitori riuscirono, facendo dei sacrifici enormi, a farmi studiare a Cagliari. Era l’unico modo di riscattarsi quello dello studio per il popolo palestinese, privato di tutto. Loro si incolpavano di non essere stati abbastanza istruiti per capire prima e contrastare il progetto sionista.
Spiegaci meglio
Nonostante tutte le lotte per restare nella propria terra, già ai tempi dei nostri nonni, contro i coloni israeliani, si rimproveravano di non essere riusciti a respingere questa aggressione. Farci studiare era un investimento anche come popolo, per sopravvivere. Per continuare a batterci per la nostra Terra. E poi ovviamente per assicurarci una vita migliore della loro.
Cosa hai scelto di studiare all’Università di Cagliari?
Mi sono iscritto in medicina e devo dire che sia io che altri miei compagni palestinesi partiti con me, ci siamo sentiti subito accolti dalla città e anche dai colleghi di facoltà. Se io dopo 45 anni vivo ancora qui e perché qui mi sono sentito a casa. L’altra cosa terribile è che una volta formati non potevamo tornare nella nostra terra, visto che era sotto occupazione, per poter offrire servizio alla nostra gente. Quindi la maggior parte di noi è stata costretta a vivere sempre in questa diaspora, subita e non scelta.
Nonostante avessimo avuto la fortuna di vivere nella vostra città e studiare, non abbiamo mai dimenticato chi abbiamo lasciato in quei campi profughi, amici e parenti costretti a vivere una vita molto dura. La lotta per la nostra gente è continuata anche da lontano e abbiamo avuta molta solidarietà da parte dei cagliaritani e dei sardi che hanno sposato in tanti il nostro impegno per la causa palestinese.
Non sono state le nostre famiglie, non conoscevamo la città, ma è stato il Ministero degli esteri dell’epoca che ci ha assegnati all’università del capoluogo sardo. Noi avevamo fatto domanda all’ambasciata italiana in Giordania.
Ricordo che eravamo felici e pieni di voglia di conoscere e scoprire la vostra città e di metterci in gioco. E abbiamo ricevuto moltissimo affetto e questo ha favorito la nostra integrazione. E’ stato molto importante.
Forse la Sardegna ha una storia che le ha permesso di capire maggiormente il vostro popolo?
Sì lo penso anche io. C’è una certa somiglianza con voi, non solo fisionomica ma anche proprio come cultura e come storia (sono due popoli mediterranei) ma soprattutto credo c’entri l’orgoglio che ci accomuna e la perenne lotta contro l’arroganza e il sopruso dei colonizzatori prima e ancora oggi per via delle servitù militari. Conoscete più di tanti altri l’ingiustizia di vedervi espropriare la terra e non poter essere sovrani a casa vostra. Anche oggi che si sta consumando l’ennesimo terribile capitolo del genocidio palestinese, la Sardegna, il suo popolo, lo sentiamo al nostro fianco.
Come state? Come vivete questa enorme tragedia e questo massacro da qui?
Molti palestinesi che vivono qui hanno o avevano (perché deceduti) parenti e amici a Gaza. Anche io ho perso molti amici. Si vive in una dimensione perenne di angoscia. Ogni giorno sappiamo che potremmo perdere qualcuno. Ogni giorno siamo coscienti che le malattie, la fame, le violenze che stanno subendo potranno portarceli via. Ogni volta che arriva un messaggio sappiamo che probabilmente è una brutta notizia. Sono tantissimi i giornalisti che ci inviavano informazioni e sono stati ammazzati e tanti altri non sappiamo che fine hanno fatto. In tanti scompaiono nel nulla.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha detto che questo genocidio se fosse la scena di un crimine avrebbe le impronte digitali di tutti…
Sì ha ragione, si sta compiendo davanti agli occhi del mondo che vede, tace e non interviene. Israele ha dei complici che sono gli Stati Uniti ma anche l’Europa e l’Italia che continua a vendergli le armi.
L’associazione Sardegna Palestina cosa può fare di concreto in queste ore terribili?
Da anni, perché l’occupazione e le violenze, come ricordato anche prima, sui palestinesi, non sono inziate il 7 ottobre, la nostrra associazione lavora e ha sempre lavorato per, in primis far conoscere la nostra storia. Ma anche la nostra cultura e politica. Abbiamo organizzato anche di recente raccolte fondi inviando decine di migliaia di euro agli ospedali alle associazioni chye operano nella Striscia per aiutare la popolazione stremata. Abbiamo anche lanciato una petizione per una radccolta firme che chiede al Comune di Cagliari di interrompere le forniture con le aziende isareliane. Interrompere quindi rapporti commerciali e istituzionali con aziende e associazioni israeliane. Il 20 maggio le abbiamo consegnate alla vicesindaca Maria Cristina Mancini questec mille firme e presto verrà organizzato un Consiglio comunale con l’ordine del giorno la discussione proprio del genocidio a Gaza.
In che modo possiamo aiutare, noi, cittadini comuni?
Per prima cosa parlarne, informarsi e informare. Evitare che cali il silenzio su questo massacro, siamo nella terra di Grasmsci che giustamente diceva di odiare gli indifferenti. La Storia non perdona e prima o poi chiede il conto. Abbiamo il dovere morale di combattere le ingiustizie. Tramite organizzazioni internazionali riconosciute e opreranti a Gaza da decenni possiamo far arrivare anche il nostro aiuto in denaro. Anche se tutto ogni giorno è più complicato.
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