Si è spento a 94 anni Raffaele Pisu, attore e comico di origini sarde

L'attore, da tempo malato è morto oggi. E' stato per tanto tempo un volto noto del piccolo schermo
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E’ morto Raffaele Pisu, popolare attore comico e personaggio televisivo. Aveva 94 anni. Nato a Bologna il 24 maggio 1925, da tempo era ricoverato nell’hospice di Castel San Pietro Terme (Bologna) per una malattia.
È stato attore, conduttore televisivo e radiofonico. È stato anche combattente partigiano e internato dai nazisti in un campo di concentramento al confine con l’Olanda, poi è stato liberato dopo quindici mesi di reclusione.
Con il cinema Pisu ha raccontato la realtà dell’Italia dal dopoguerra fino ai nostri giorni. Il suo ultimo film è stato “Nobili Bugie” nel 2017 del figlio Antonio Pisu. Ha partecipato alle riprese del capolavoro del cinema italiano “Italiani Brava Gente” di Giuseppe De Santis nel 1965. Tra alti e bassi nella sua carriera sono state molte le incursioni televisive, come nelle fiction “Non ho l’età”, “Don Matteo 6” e “Marameo”. Per due stagione e a partire dal 1990 ha condotto con Ezio Greggio il tg satirico di Antonio Ricci “Striscia la notizia”.
In Sardegna un luogo di sofferenza è diventato meta di fascino e mistero: dove ci troviamo?

Nel 1875, sotto il sole implacabile della Sardegna, uomini condannati ai lavori forzati sbarcarono a Cala Sinzias per costruire il carcere agricolo più grande d’Italia. Tra fatica, carbone e campi coltivati, la vita qui era dura, e molti trovarono un destino tragico tra queste mura. Oggi, quelle stesse mura raccontano un’altra storia: di recupero, memoria e scoperta.
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La storia del carcere di Castiadas iniziò nel 1875, per volere di Eugenio Cicognani, in un periodo dell’anno così ardente e implacabile da sembrare un piccolo inferno terrestre. Eppure, i condannati ai lavori forzati, scortati dai loro carcerieri, sbarcarono senza esitazione sulla spiaggia di Cala Sinzias. Li attendeva una fatica immane: l’obiettivo era costruire il carcere agricolo più grande della Sardegna, se non dell’intera Italia, e ogni giorno era prezioso.
Con il passare del tempo, sempre più detenuti furono trasferiti a Castiadas per contribuire alla costruzione e allo sviluppo della struttura. Il carcere non era soltanto un luogo di reclusione: aveva una falegnameria, un’officina meccanica, una farmacia, una stazione postale, officine di fabbri e persino una stazione telefonica.
Intorno, terreni paludosi e selvaggi furono bonificati e trasformati in campi coltivati a cereali, legumi, frutta e verdura, destinati non solo a nutrire detenuti e personale, ma anche a scopi commerciali. Castiadas divenne persino famosa per la produzione di carbone, e la paga dei detenuti variava secondo il tipo di lavoro svolto.
Nonostante la sua organizzazione, il carcere non era certo un luogo di felicità: molti scelsero di porre fine alla loro vita piuttosto che sopportare le dure condizioni. Il carcere chiuse i battenti nel 1952, ma le storie di sofferenza e resilienza restarono impresse tra le sue mura.
Oggi, però, il vecchio carcere ha trovato una nuova vita. Restaurato e aperto al pubblico, è diventato una meta turistica affascinante, soprattutto in primavera, quando la folla non ancora invade la zona e l’aria è dolce e mite. Nel 2015, la ristrutturazione ha riguardato la casa del direttore, le scuderie e un’intera ala del carcere, trasformando un luogo di fatica e dolore in uno spazio di memoria e scoperta.

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