Modena: prende il nipote di 5 anni e si lancia dal decimo piano. La madre: “Lo sapevo, era una pazza”
#Italia La donna avrebbe preso in braccio il nipotino lanciandosi nel vuoto: per ora tutto fa pensare a un omicidio-suicidio ma gli inquirenti continuano a indagare
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Tragedia a Modena. Una donna di 47 anni ed un bambino di cinque hanno perso la vita dopo una caduta dal decimo piano di un palazzo in Largo Montecassino a Modena. La donna sarebbe la zia del minorenne, figlio del fratello di lei. “Lo sapevo che sarebbe successo, lo sapevo, quella era una pazza“. Gridava la madre del piccolo Giacomo, cognata della donna che ieri sera si è lanciata insieme al nipotino dal decimo piano, appena giunta sul luogo della disgrazia. La reazione della donna ha indicato subito agli inquirenti una strada ben precisa. “Lo sapevo che finiva così. Me lo ero immaginata un miliardo di volte” piangeva la madre straziata.
Tra le prime ipotesi sull’accaduto non è esclusa quella di un omicidio suicidio. Sul posto, oltre ai sanitari del 118, anche i carabinieri ed i vigili del fuoco. Come riporta TgCom, la tragedia è avvenuta poco dopo le 19: al centro dell’accaduto una donna di 47 anni, modenese, che per ragioni ancora al vaglio degli inquirenti avrebbe preso in braccio suo nipote, ovvero il figlio di suo fratello, saltando nel vuoto. Entrambi sono morti sul colpo. Al momento dell’accaduto pare che i due fossero da soli nell’abitazione.
L’allarme è stato dato da un vicino di casa che ha notato i corpi a terra. I vigili del fuoco sono stati chiamati in largo Montecassino poiché l’appartamento da dove la donna col bambino in braccio è caduta al suolo (direttamente dalla camera da letto) risultava chiusa dall’interno con la chiave, un elemento, quest’ultimo, che fa appunto propendere gli inquirenti per un gesto volontario.
Il possibile incidente resta uno scenario sempre meno probabile, quasi escluso. Non sarebbero stati trovati, dentro l’abitazione, biglietti o lettere con spiegazioni sul perché. Appresa la notizia in serata sono giunti anche parenti stretti delle due vittime, le cui dichiarazioni avrebbero avallato l’ipotesi che la donna possa essersi effettivamente suicidata, uccidendo al contempo il nipote. Il riserbo in merito ai possibili motivi del gesto estremo e dell’omicidio restano al momento ignoti anche se pare escluso, almeno fino a questo momento, che la donna fosse assistita per problemi di natura psichica.
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Intervista alla fotografa Sara Montalbano: “Ogni scatto è incontro umano e memoria emotiva”

«Definirei il mio stile autentico, senza tempo e profondamente nostalgico», racconta Sara. «È una fotografia che nasce dal desiderio di andare oltre la superficie, di cercare la poesia nascosta in uno sguardo, in una postura, in un silenzio»
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Sara Montalbano, nata a Cagliari nel 1993, è una fotografa che ha saputo trasformare il ritratto in una forma di narrazione emotiva, capace di raccontare l’interiorità delle persone oltre l’apparenza. La sua carriera inizia nella ritrattistica e nella fotografia di moda: nel 2012 trascorre un anno a Oxford in uno studio fotografico, prima di partire per Jakarta, in Indonesia, dove lavora per due mesi con una casa di moda che collabora con le principali riviste del gruppo Femina e partecipa alla settimana della moda di Jakarta come fotografa ufficiale.
«Definirei il mio stile autentico, senza tempo e profondamente nostalgico», racconta Sara. «È una fotografia che nasce dal desiderio di andare oltre la superficie, di cercare la poesia nascosta in uno sguardo, in una postura, in un silenzio». Con il tempo, la fotografa si è resa conto che ogni immagine rappresenta una mappa visiva personale del paesaggio dell’anima umana, un viaggio che va oltre la mera estetica.
Nel 2018 si trasferisce a Londra, dove sviluppa il proprio linguaggio fotografico ascoltando la creatività e le emozioni. L’esperienza più intensa arriva nel 2019, quando trascorre sei mesi a Londra dedicandosi al ritratto emotivo: fotografava quindici persone a settimana, con uno sfondo nero, uno sgabello e un flash. Questo periodo le insegna che la fotografia più potente nasce dalla semplicità e dalla capacità di accogliere l’emozione senza costruirla. Nello stesso anno, vive tre mesi in Asia (India, Vietnam, Thailandia e Birmania) per progetti personali di ritrattistica e fotografia di viaggio, consolidando la sua capacità di osservare le persone e i luoghi con profondità emotiva.
Il suo lavoro si concentra su storie intime e reali: ogni ritratto diventa un esperimento emotivo, un’occasione per far emergere la personalità e la bellezza autentica del soggetto. Le sue ispirazioni arrivano da epoche lontane: fotografia di moda degli anni ’30, musica parigina, jazz e musica brasiliana, mondi che portano con sé eleganza malinconica e lentezza, oggi quasi perdute.
Sara cerca una realtà emotiva, non oggettiva. «Non mi interessa documentare ciò che è visibile a tutti, ma ciò che emerge solo se ci si prende il tempo di ascoltare. Ogni fotografia è filtrata dal mio sguardo, dalla mia storia e dalla relazione che si crea con la persona davanti all’obiettivo». La connessione con i soggetti nasce prima dello scatto: parlano, condividono silenzi e, quando la persona smette di preoccuparsi di come appare, il ritratto prende vita. Da questa esperienza nasce The Portrait Session, il suo servizio di punta, raccontato anche su Instagram con @theportraitsession, dedicato a chi desidera ritratti autentici e personali.
La firma visiva di Sara si manifesta in luce diretta ma morbida, ombre profonde, fondali scuri e colori contenuti, spesso attraversati da una malinconia silenziosa che diventa segno di verità emotiva. «La tecnica è uno strumento», spiega. «Le mie immagini sono il risultato di tutto ciò che ho vissuto: cambiamenti, distanza, incontri e memoria familiare».
Oggi Sara è tornata a Cagliari, pronta a mettere la propria esperienza al servizio delle piccole e medie imprese, aiutandole a espandersi online anche a livello internazionale attraverso la fotografia. Per lei, la fotografia rimane memoria e immaginazione, un incontro umano prima ancora che un’immagine. «Voglio lasciare che siano le persone che fotografo a guidarmi, aprendo uno spazio in cui possano emergere i loro lati più intimi», conclude.
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