Insulti su Facebook, condannato per diffamazione a 1 anno e 6 mesi un 42enne di Nuoro

Secondo i giudici, gli insulti scritti in un post sulla sua pagina Facebook non erano un semplice sfogo ma diffamazione. Il tribunale di Nuoro ha condannato, il 27 settembre, un uomo di 42 anni a 1 anno e sei mesi 1 anno e 6 mesi, 6mila euro di risarcimento del danno per le parti civili (la cifra sarà devoluta per acquistare strumenti utili per il funzionamento del pronto soccorso) e pagamento delle spese processuali per 3.200 euro.
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La sentenza potrebbe anche creare un precedente. Ed essere un colpo di avvertimento nei confronti degli haters dilaganti sui social network. La notizia arriva da Il Sole 24 Ore.
Secondo i giudici, gli insulti scritti in un post sulla sua pagina Facebook non erano un semplice sfogo ma diffamazione. Il tribunale di Nuoro ha condannato, il 27 settembre, un uomo di 42 anni a 1 anno e sei mesi per diffamazione avvenuta su Facebook due anni prima e terminato davanti al giudice del tribunale monocratico.
Come riporta un articolo scritto da Davide Madeddu, tutto è legato a un fatto avvenuto nel 2016, quando l’uomo si presenta al pronto soccorso di Nuoro assieme al padre che lamenta dolori a un braccio. Prima che il genitore del quarantaduenne possa essere visitato c’è da attendere. Alla fine la visita viene effettuata. Il giorno dopo però, l’uomo di 42 anni scrive un post in cui si lamenta e racconta l’attesa durata otto ore all’interno del nosocomio nuorese.
Alla fine del post oltre alle lamentele però ci sono una serie di insulti che non risparmiano le due dottoresse in servizio (che non vengono nominate). Il post, ma soprattutto gli insulti e gli attacchi non sfuggono né ai due medici in servizio, né alla scala gerarchica e dirigenziale dell’azienda sanitaria nuorese.
Dall’Asl il via libera a procedere: parte quindi la querela affidata all’avvocato Lorenzo Soro che nella fase processuale ricorda e produce gli orientamenti giurisprudenziali proprio in materia di diffamazione sui social network.
I due medici si costituiscono si costituiscono parte civile. La prima metà di settembre la penultima udienza con al richiesta del Pm di una condanna a 4 mesi. Il 27 settembre la fase conclusiva con la condanna che supera largamente quanto richiesto dal Pm: 1 anno e 6 mesi, 6mila euro di risarcimento del danno per le parti civili (la cifra sarà devoluta per acquistare strumenti utili per il funzionamento del pronto soccorso) e pagamento delle spese processuali per 3.200 euro.

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È guerra aperta tra Tirrenia e Mauro Pili: il Gruppo Onorato querela l’ex deputato

Il gruppo Onorato Armatori, all’indomani di quella che ritiene «l'ennesima diffamazione», dichiarando di aver operato sempre nel pieno rispetto delle leggi e nel caso specifico della Convenzione con lo Stato, ha deciso di rompere gli indugi e di rivolgersi alle Autorità giudiziaria contro l'ex deputato.
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Querela per diffamazione nei confronti di Mauro Pili, con parallela richiesta di risarcimento danni reputazionali e aziendali per un valore iniziale di 20 milioni di Euro. Richiesta all’Autorità giudiziaria di indagare su una campagna diffamatoria articolata anche attraverso interventi diretti del direttore short-sea della Grimaldi Lines, Guido Grimaldi, come provato dalla diffusione di messaggi telefonici personali in particolare alla comunità estesa dell’autotrasporto; ciò attraverso dichiarazioni perfettamente sovrapponibili a quelle rilasciate da Pili anche nell’ambito di una petizione in rete finalizzata a colpire la convenzione con lo Stato per l’esercizio dei servizi di collegamento marittimo con la Sardegna, Sicilia e isole minori e attraverso la “gestione” di attività di volantinaggio all’imbarco dei traghetti del gruppo Grimaldi.
Il gruppo Onorato Armatori, all’indomani di quella che ritiene «l’ennesima diffamazione», dichiarando di aver operato sempre nel pieno rispetto delle leggi e nel caso specifico della Convenzione con lo Stato, ha deciso di rompere gli indugi e di rivolgersi alle Autorità giudiziaria contro l’ex deputato.
«Siamo perfettamente convinti, con prove che porremo a piena disposizione degli inquirenti – ha affermato Vincenzo Onorato, presidente dell’omonimo gruppo armatoriale – che le reali motivazioni di questa campagna diffamatoria traggano origine dalla battaglia nella quale ci siamo impegnati ormai da anni per difendere l’occupazione dei marittimi italiani, denunciando una truffa ai danni dello Stato e una violazione sistematica delle norme che consentono a troppi gruppi armatoriali italiani di attuare a bordo delle loro navi, battenti bandiera italiana e in quanto tali esenti da qualsiasi tassazione, di sfruttare manodopera extra-comunitaria a livello di pura schiavitù lasciando a terra disoccupati migliaia di marittimi italiani».
Secondo la circostanziata querela presentata all’Autorità giudiziaria, l’ex deputato Pili, «oggi in cerca di motivazioni esistenziali», conduce una campagna diffamatoria su presunte violazioni della Convenzione fra lo Stato e il gruppo Onorato, usando strumenti, dichiarazioni e persino parole, palesemente sovrapponibili a quelle utilizzate da Guido Grimaldi per coprire di fango il gruppo Onorato, che solo in Sardegna dà lavoro a 500 lavoratori.
«Siamo sempre stati i fautori di un libero mercato e di una libera concorrenza sulle rotte del cabotaggio e delle autostrade del mare – prosegue Vincenzo Onorato – ma esistono limiti oltre i quali non solo è chiamato in causa lo stile di un’impresa, ma anche lo sconfinamento in forme di concorrenza sleale, attraverso metodi e modalità di diffusione di false informazioni e palese diffamazione nei confronti dei competitors. Per noi sono metodi incomprensibili e impensabili».
«In gioco – conclude il presidente del Gruppo Onorato, che comprende Moby, Tirrenia e Toremar – non c’è la conquista di quote di mercato o l’apertura di nuove rotte. C’è l’onorabilità e la dignità di una famiglia, la nostra, da cinque generazioni sul mare e c’è anche il rispetto che si deve a 5000 persone che lavorano ogni giorno spalla a spalla con noi. E per noi, a differenza forse di altri, questo è un valore su cui non accettiamo discussioni».

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