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L’ira del mare che svelò il dio: quando la mareggiata di Chia donò a Taramelli e ai sardi la statua di Bes.
C’è una storia affascinante che lega la potenza della natura, la fede popolare e una scoperta archeologica sensazionale nella Sardegna sud-occidentale. Riguarda il dio Bes, una divinità giunta dall’Egitto, e l’archeologo Antonio Taramelli, che vide il suo lavoro benedetto da un evento meteorologico eccezionale.
Bes è il dio guaritore e protettore della famiglia, delle partorienti, delle madri e dei bambini, una figura che incarna la benevolenza domestica. Egli è, a tutti gli effetti, una divinità salutifera del pantheon egizio, ma il suo culto non si fermò sulle rive del Nilo: fu adottata dai Fenici e poi dai Punici come protettore dalla “cattiva sorte”. È proprio tramite questi popoli che Bes giunse in Sardegna, dove fu particolarmente venerato. Ne sono prova tangibile le diverse statue del dio ritrovate a Bitia (l’odierna Chia), Maracalagonis, Cagliari e Fordongianus. Questo testimonia come il culto tributato a Bes doveva essere di natura popolare e superstiziosa, un vero e proprio “amuleto” divino per la vita di tutti i giorni.
La città di Bithia o Bitan, secondo la dicitura punica, era nota dalle fonti storiche, ma per decenni la sua ubicazione esatta non era conosciuta. Tutto cambiò negli anni ’30, in una delle località marine più suggestive della Sardegna meridionale.
Il merito di aver svelato questo mistero appartiene, ironia della sorte, al maltempo: la zona di Chia nel comune di Domus De Maria fu colpita da una violenta mareggiata che, con la sua forza, scoprì alcune strutture antiche sulla spiaggia della Torre di Chia. Questo evento inatteso fornì l’indicazione cruciale che l’antica città era lì, sepolta dalla sabbia e dal tempo.
Fu in questo scenario che, nel 1933, il Soprintendente alle Antichità della Sardegna Antonio Taramelli entrò in azione. L’archeologo si trovò davanti ai resti messi a nudo dalla furia del mare e avviò gli scavi che portarono a un ritrovamento sensazionale: all’interno di un edificio nei pressi dell’acropoli dell’antica città di Bitia, fu rinvenuto un edificio sacro a pianta pentagonale e, al suo interno, la statua del dio Bes, trovata rovesciata nei pressi di un altare.
La scoperta fu corredata da un ulteriore indizio storico: un’iscrizione in lingua punica rinvenuta all’interno del sito ricorda il restauro sotto l’imperatore Marco Aurelio Antonino, ossia Marco Aurelio o Caracalla (2° o 3° secolo d.C.). Ciò evidenzia che Bes continuò ad essere venerato anche in età romana, spesso collegato al culto orientale della dea egizia Iside.
La statua bithiense rispecchia l’iconografia egiziana tradizionale del dio: si presenta con il suo aspetto tozzo, il volto largo, il torso nudo con il ventre prominente ed il perizoma. Il simbolismo della guarigione è sottolineato dalla presenza di un serpente avvolto attorno all’avambraccio. La mano destra è sollevata nella posa benedicente, un gesto protettivo per i suoi devoti.
Sebbene la datazione della statua sia controversa, a causa dell’assenza di dati di scavo certi, l’iscrizione neopunica del II-III secolo e la diffusione dei culti isiaci nello stesso periodo, fanno propendere per la piena età romana. La statua di Bes è oggi un emblema della complessa stratificazione storica e culturale della Sardegna, dove le onde non portano solo sale, ma anche i segreti degli antichi dei.