Come si dice lentischio in sardo?
Potete chiamarlo lentisco o lentischio. Ma sono le varianti sarde a incuriosire: e voi come lo chiamate?
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Come si dice lentischio in sardo?
Potete chiamarlo lentisco o lentischio. Ma sono le varianti sarde a incuriosire: e voi come lo chiamate?
Il dilemma linguistico è solo il primo passo per addentrarsi nel mondo affascinante di un arbusto simbolo della macchia mediterranea, perché se in italiano si può optare per la denominazione di lentisco o lentischio, è nella ricchezza della tradizione insulare che si cela la vera curiosità: come si dice questa pianta in sardo, ovvero la domanda che apre un ventaglio di varianti dialettali capaci di incuriosire ogni appassionato di etnobotanica, includendo termini evocativi quali chessa, in particolare nel nuorese, o ancora modditzi nel Campidano e in genere al Sud, lintiscu, lostingiu e lostincu, a testimonianza di un legame profondo e millenario con l’identità territoriale; comunque si decida di designarlo, è fondamentale sapere che il lentischio, e specialmente le sue piccole bacche, racchiudono proprietà di cruciale importanza per la salute e il generale benessere del nostro organismo. Chi ha la fortuna di possederne un esemplare o di poterne ammirare la maestosità durante una passeggiata di fine estate, non avrà mancato di notare la spettacolare esplosione cromatica che l’albero manifesta proprio in questo periodo dell’anno, quando i suoi frutti abbondano, transitando progressivamente da una tonalità di rosso acceso a una più cupa e matura sfumatura brunastra, un cambiamento che funge da irresistibile richiamo e preda ghiotta per gli storni e altri uccelli che ne sono notoriamente ghiotti.
Questo arbusto, tipico dell’ambiente mediterraneo e la cui storia affonda le radici in un’antichità remota, è stato per secoli apprezzato sia per la straordinaria resistenza e l’apprezzabile flessibilità del suo legno, qualità che lo hanno reso un ottimo combustibile e un mezzo naturale per la profumazione degli ambienti, sia per il pregiato olio ricavato dalla spremitura dei frutti, sfruttato in passato sia per l’ottenimento di olio per lampade sia, in modo più umile, per l’uso alimentare; in quest’ultimo contesto, purtroppo, esso era sovente etichettato e considerato l’olio dei poveri, relegato a un ruolo secondario, meno pregiato e di qualità inferiore rispetto a quello d’oliva. Oggi, fortunatamente, grazie all’avanzamento della ricerca scientifica, l’olio di lentisco, chiamato in sardo oll’e stincu, sta lentamente ma decisamente riscattando la propria dignità, conquistando una importantissima rivincita: la sua complessa composizione chimica, infatti, gli conferirebbe un vasto spettro di caratteristiche benefiche grazie alla documentata presenza, ad esempio, di preziosi acidi grassi monoinsaturi, di steroli e di tocoferoli.
Se da sempre è stato impiegato per illuminare – era infatti fatto bruciare nelle lampade – e per contrastare disturbi comuni quali bronchiti, diarrea e tracheiti, ora le indagini cliniche e fitochimiche hanno svelato che l’olio di lentisco possiede anche importanti proprietà antitumorali, confermandolo come un valido alleato nella regolarizzazione dei livelli di colesterolo e trigliceridi e un supporto nel trattamento di diverse affezioni dell’apparato digerente. In ambito dermatologico, le sue eccellenti proprietà lenitive ed idratanti lo rendono un rimedio rapido ed efficace in caso di irritazioni, bruciature e dermatiti, e lo promuovono a un agente curativo della psoriasi; per queste molteplici ragioni, esso è ampiamente utilizzato sia nel campo cosmetico sia in quello erboristico, e i prodotti formulati a base di questo “olio miracoloso”, oltre a garantire un effetto tonificante e idratante, mostrano anche spiccate caratteristiche antinfiammatorie e aiutano attivamente a combattere l’invecchiamento della pelle; parimenti, è assai sfruttato anche l’olio essenziale, estratto dalla pianta tramite un processo di distillazione, noto per essere profumatissimo, rassodante e intensamente rinfrescante. In Sardegna, terra che da lunghissimo tempo è considerata una delle culle naturali di questa pianta caratteristica della macchia mediterranea, diverse di queste virtù terapeutiche e pratiche sono sempre state conosciute e tramandate: il mastice ricavato dalle necessarie incisioni sui rami era infatti tradizionalmente impiegato per lenire e disinfiammare le parti doloranti del corpo, o addirittura utilizzato come dentifricio e masticatorio per gli effetti benefici che potevano derivarne a favore di denti e gengive. Non meno importante è il suo ruolo ecologico, essenziale nel mantenimento delle caratteristiche del terreno in cui cresce, contribuendo in maniera significativa alla rapida ricostituzione del manto vegetale e agevolando il processo di umificazione grazie al peculiare contenuto delle sue foglie e alla sua elevata resistenza al fuoco. Infine, l’uso tradizionale persiste nelle campagne, dove le frasche vengono tuttora impiegate per la costruzione del tetto dei cuiles, le tipiche dimore pastorali, o per la preparazione di robuste scope per pulire i forni, chiudendo un cerchio perfetto tra storia, salute e quotidianità.
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