Quando Fabrizio De André portò la sua voce e la sua umanità ai detenuti di Is Arenas

Nel 1992 Fabrizio De André scelse di recarsi nella colonia penale di Is Arenas, ad Arbus, per incontrare i detenuti che avevano avviato un gruppo di studio sulla sua musica.
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Quando Fabrizio De André portò la sua voce e la sua umanità ai detenuti di Is Arenas.
Nel 1992 Fabrizio De André scelse di recarsi nella colonia penale di Is Arenas, ad Arbus, per incontrare i detenuti che avevano avviato un gruppo di studio sulla sua musica.
La notizia, rimasta a lungo lontana dai riflettori per volontà del cantautore, rappresenta uno degli episodi più significativi della sua vita pubblica e privata, perché dimostra quanto fosse autentico il legame tra la sua arte e la condizione degli ultimi. A spingerlo a quel gesto fu un articolo apparso sul quadrimestrale Ricominciare, la rivista degli istituti penitenziari sardi, che lo definiva uomo e mito. Colpito da quelle parole, decise di bussare alla porta del carcere, portando con sé la sua discrezione e la sua naturale empatia. Is Arenas era allora una struttura unica nel suo genere, immersa tra le dune di Piscinas e le spiagge di Scivu, ma per chi vi era recluso restava pur sempre una prigione. In quell’ambiente duro e contraddittorio De André volle presentarsi senza clamore e pose due condizioni precise: nessuna pubblicità e nessuna esibizione musicale. La visita doveva restare un incontro privato, lontano da telecamere e giornalisti, e non trasformarsi in uno spettacolo. Ma il destino prese un’altra piega. Alcuni ragazzi del carcere, incoraggiati dalla sua disponibilità, gli misero tra le mani una chitarra. Non ebbe il coraggio di rifiutare e regalò loro cinque canzoni, tra cui Don Raffaè, Bocca di Rosa e La canzone di Marinella. Non era la star a esibirsi, ma un uomo che con semplicità volle condividere un frammento di umanità con chi viveva una condizione di emarginazione.
I detenuti gli rivolsero domande sulla musica, sulla sua vita in Gallura e soprattutto sulle storie che popolavano le sue canzoni, quelle di donne segnate da sacrifici e di uomini schiacciati da leggi calate dall’alto, lontane dai poveri. De André rispose a tutto con sincerità, affrontando perfino la questione del sequestro da lui subito anni prima e dichiarando che sarebbe tornato anche se tra i detenuti ci fosse stato uno dei suoi rapitori, perché il perdono non può essere parziale. In quell’incontro improvvisato, avvenuto davanti a oltre duecento detenuti che nel giro di pochi anni sarebbero tornati in libertà, il cantautore genovese riuscì ancora una volta a superare ogni barriera sociale, trattando tutti allo stesso modo, dai carcerati agli agenti, dagli educatori ai responsabili dell’istituto. Rimane così nella memoria collettiva una pagina poco nota ma straordinaria della sua storia, in cui la musica e la coerenza si intrecciarono in un messaggio di umanità che, a distanza di oltre trent’anni, continua a commuovere e a far riflettere.

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