Che cosa mangiavano i Sardi dell’antichità?

I segreti culinari dei nuragici: la dieta sarda tremila anni fa.
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Che cosa mangiavano i Sardi dell’antichità?
I segreti culinari dei nuragici: la dieta sarda tremila anni fa.
Mentre le nostre tavole sono imbandite di alimenti come patate, pomodori, mais e fagioli, tutti cibi arrivati dopo la scoperta dell’America, è affascinante chiedersi cosa mangiavano gli antenati dei Sardi tremila anni fa. L’alimentazione, infatti, è un indicatore cruciale che ci permette di ricostruire non solo gli usi e i costumi di un’epoca passata, ma anche l’aspettativa di vita di quel periodo. La capacità di sfruttare gli strumenti di cottura ha rappresentato un punto di svolta, consentendo ai Sardi dell’antichità di trasformare i sapori e di evolvere le proprie abitudini alimentari.
Prima della rivoluzione agricola, l’uomo si nutriva in un regime di precaria autosufficienza, basandosi esclusivamente su ciò che la natura offriva. Con il Neolitico, e poi in modo più evidente nell’epoca nuragica, in Sardegna la situazione cambiò radicalmente. I Nuragici erano un popolo di agricoltori e allevatori, che basavano la loro alimentazione su cereali, carni e latte, da cui ricavavano il formaggio. Ma già i Sardi delle epoche precedenti a quella nuragica avevano una dieta che includeva grano, orzo, cozze, ostriche e carni di pecora, lumache, lepri, conigli e maiali.
Secondo gli studi di Giovanni Fancello, esperto di storia della gastronomia sarda, gli antichi Sardi compivano già gesti attenti per preparare il cibo, come salare, arrostire e affumicare. Esisteva una vera e propria “cucina nuragica”, come dimostrano i ritrovamenti di forni per cuocere, macine per produrre olio, ciotole, pestelli e vasconi rettangolari destinati alla panificazione. Conoscevano la fermentazione per realizzare formaggio, vino e aceto, e praticavano una panificazione evoluta, molto simile a quella ancora oggi in uso sull’Isola, producendo pani azzimi e lievitati, oltre a dolci. La carne veniva arrostita, ma si realizzavano anche sanguinacci di pecora, agnello, capretto e maiale, e si utilizzava il caglio per le cagliate. Per dolcificare, usavano il miele selvatico, con cui preparavano varie pietanze. Una tecnica di cottura della carne, di origini antichissime, era quella sotto terra, e si narra che usassero mangiare cuore e fegato crudi dei cinghiali appena sventrati. Un altro metodo di cottura, risalente ai popoli cacciatori, consisteva nell’arrostire gli intestini dei cinghiali sulla brace. Tra le erbe spontanee consumate in quel periodo c’erano cicoria, porro, cicerchie, piselli, lenticchie, cardo, avena, orzo e funghi, e si preparava persino un alimento simile alla polenta, a base di granaglie e legumi.
I Nuragici aravano il terreno, come dimostrano i vomeri in pietra e bronzo rinvenuti, per coltivare orzo, grano tenero e duro e, in quantità minore, anche il farro. Nelle zone di preparazione dei pasti sono state trovate molte ghiande, e sebbene non si sappia se le macinassero, è probabile che le consumassero. Coltivavano anche legumi come favino, lenticchie, piselli e cicerchia, un legume che in Sardegna si coltivava fino agli anni Sessanta. Uno studio recente dell’archeologo Mauro Perra ha rivelato che si nutrivano anche di frutti spontanei come fragole selvatiche, more e corbezzolo, e che consumavano sicuramente i fichi. Sembra che coltivassero persino il melone, come indicano i semi ritrovati a Cabras, un fatto che suggerisce scambi con altre popolazioni. Conoscevano e producevano il vino, che usavano anche per cucinare, e mangiavano l’uva. Un ritrovamento curioso in un vaso del nuraghe Arrubiu ha rivelato che consumavano persino cibi particolari come cavallette, grilli e cicale cotti nel vino.
Il popolo dei nuraghi seguiva una dieta varia, ricca di proteine, allevando bovini, suini e ovicaprini. I bovini, tuttavia, non erano allevati per la carne, ma come animali da lavoro, e venivano macellati solo a fine carriera. Amavano invece il maialino da latte, che cuocevano allo spiedo. A Barumini, una serie di fori nel terreno servivano proprio per tenere verticali gli spiedi. Gli ovini venivano allevati soprattutto per il latte, con cui si producevano diversi tipi di latticini. La caccia e la pesca erano pratiche comuni, cacciavano cervi, cinghiali, colombi, tordi e il prolago sardo, un roditore estinto.
I nostri progenitori non si facevano mancare neanche il pesce, come testimoniano le lische di orata di grandi dimensioni e le valve di cozze e ostriche ritrovate nei nuraghi. La presenza di questi frutti di mare anche nelle zone interne dell’Isola suggerisce che ne fossero particolarmente ghiotti, tanto da trasportarli dalla costa. Per cucinare, usavano l’olio, come dimostrato dai resti di oli vegetali rinvenuti, anche se non è chiaro se si trattasse di oleastro, olivo o lentischio. Anche il grasso di maiale, il cosiddetto “oll’e procu”, veniva usato per cucinare. Sebbene non vi siano prove dell’uso del sale, è certo che dolcificassero i cibi con il miele e il vino con le bacche di prugnolo. La cera d’api, che ricavavano dalle api, veniva impiegata per impermeabilizzare l’interno dei vasi.

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