“Bruci la terra? Ti taglio la mano”. Ecco cosa dovevano aspettarsi i piromani secondo la “Carta de logu” di Eleonora D’Arborea

L’aspetto sorprendente della Carta de Logu non sta solo nella durezza delle pene, ma nella visione di fondo: chi brucia la terra, brucia il futuro di una comunità. Non è solo un atto criminale, ma un tradimento sociale.
canale WhatsApp
La Sardegna brucia. Ancora una volta. Nella giornata di ieri, devastanti incendi hanno colpito duramente diverse zone dell’isola, tra cui la splendida località di Punta Molentis, una perla del Sud Est sardo divorata dalle fiamme in poche ore. Le immagini dei roghi e dei soccorsi fanno il giro dei social, suscitando rabbia, dolore e sconcerto.
E in tanti, tra commenti e condivisioni, tornano a evocare un’antica memoria giuridica: la Carta de Logu. Promulgata da Eleonora d’Arborea alla fine del XIV secolo, la Carta de Logu fu uno degli statuti più avanzati del suo tempo, adottato dal Giudicato d’Arborea e rimasto in vigore fino al 1827, con l’avvento del Codice di Carlo Felice.
Non era solo un codice civile e penale, ma anche un vero e proprio regolamento rurale, perfettamente calato nella realtà del territorio e delle sue risorse. E proprio per questo, aveva un occhio severo – e incredibilmente lucido – nei confronti dei piromani. Oggi, chi appicca un incendio in un bosco rischia, secondo l’articolo 423-bis del Codice Penale, la reclusione da quattro a dieci anni. Una pena significativa, certo, ma che spesso si scontra con la difficoltà di individuare i responsabili e con una giustizia lenta.
Nel Medioevo sardo, però, le cose erano ben diverse. La Carta de Logu era chiarissima: gli incendi dolosi erano puniti con la mutilazione. In particolare, l’articolo 47 recitava: “Chiunque metta fuoco dolosamente a campi seminati, a messi o a vigne, o a orti, e sia colto in flagrante, paghi una multa di cinquanta lire e il danno causato; e se non può pagare, gli sia tagliata la mano destra. E i giurati siano tenuti a trovare e a consegnare il colpevole affinché subisca questa pena, come indicato nel secondo capitolo.”
Le norme erano precise: “le stoppie non debbono essere bruciate”, dice Eleonora, “prima del giorno di Santa Maria chi est a die octo de capudanni”, ovvero l’8 settembre. Se si dà fuoco involontariamente si pagano i danni e dieci lire di multa se accade nei tempi in cui è lecito “poner fogu”, venticinque lire nelle altre stagioni; se l’incendio è doloso e riguarda terreni coltivati, la multa sale a cinquanta lire e in via sussidiaria è previsto il taglio della mano destra.
L’incendio doloso di abitazioni è punito col rogo. In tutti i casi è previsto il risarcimento del danno. Per difendersi da queste terribili ondate di fuoco che potevano propagarsi rapidamente sui seminati, numerose ville elevavano delle barriere protettive dinanzi alle “habitations”, cioè ai terreni lavorativi appartenenti alla comunità, in modo tale da arrestare l’avanzata della fiamma.
Eleonora ordina che per il giorno di Sanctu Perdu de Lampadas, 29 giugno, la barriera, detta “sa doha”, debba essere pronta, e se non è pronta paghino tutti gli abitanti 10 soldi per ciascuno, e se la barriera non è preparata a dovere e può essere valicata dal fuoco, paghi il villaggio la medesima somma, mentre il curatore che doveva disporre perché tutto fosse in ordine è punito con una multa di dieci lire da versare alla corte; se egli aveva dato un ordine che non è stato eseguito, paghino collettivamente tale somma il majore e i suoi iurathos.
L’aspetto sorprendente della Carta de Logu non sta solo nella durezza delle pene, ma nella visione di fondo: chi brucia la terra, brucia il futuro di una comunità. Non è solo un atto criminale, ma un tradimento sociale.
Oggi, con tecnologie avanzate, leggi moderne e sistemi di prevenzione sempre più raffinati, ci troviamo ancora ad affrontare gli stessi incubi: foreste incenerite, animali uccisi, famiglie evacuate, territori devastati. E forse è proprio in questo che la Carta de Logu ci dà una lezione: la lotta agli incendi non è solo una questione giudiziaria, ma un patto di responsabilità tra cittadini, istituzioni e territorio. Perché la Sardegna non può continuare a essere preda di mani criminali che, nell’ombra, appiccano il fuoco ai suoi luoghi più preziosi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA