Oggi è un giorno speciale per la comunità di Golfo Aranci e per tutta la Sardegna: Tzia Franca Gagliardi spegne 101 candeline con il sorriso e l’energia di sempre. Ospite della Casa San Giuseppe, Tzia Franca è stata festeggiata con affetto da familiari, amici, operatori della struttura e concittadini, che le hanno tributato un caloroso augurio per questo straordinario traguardo.

Sempre bella e in forma, Tzia Franca rappresenta l’anima longeva dell’isola, quella che racconta di vite semplici ma piene, scandite dal rispetto per la natura, dall’alimentazione genuina e da relazioni autentiche. I suoi occhi, vivaci e profondi, custodiscono un secolo di memoria, tradizioni e amore per la vita.

Come di consueto, non potevano mancare gli instancabili ambasciatori dei centenari sardi, Pierino Vargiu e Angela Mereu, che con grande dedizione raccontano e documentano queste storie straordinarie. A loro va un sincero ringraziamento per aver condiviso la notizia e la bellissima foto di Tzia Franca, simbolo della longevità serena che caratterizza tante comunità sarde.

A Tzia Franca vanno i nostri auguri più belli: che questo compleanno sia solo l’ennesimo di tanti altri ancora, vissuti con la stessa grazia e vitalità che la rendono tanto amata.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.