Cagliari, disagio giovanile e violenza tra bande. Come intervenire? Ne abbiamo parlato con la consigliera Ombretta Ladu

Cagliari è una delle città più sicure di Italia ma anche qui cresce il fenomeno delle baby gang. Ne abbiamo parlato con la consigliera comunale del Pd Ombretta Ladu che è intervenuta anche durante la seduta del Consiglio comunale del 15 aprile proprio su questo tema.
Cagliari è una città con una bassa presenza di criminalità. E’ di pochi giorni fa la notizia che in un anno i reati sono calati del 2,4%. Ma da qualche tempo, come capita anche in molti altri capoluoghi italiani, persistano situazioni di violenza con protagonisti spesso minorenni. Questo fa sì che i residenti delle zone colpite da questo fenomeno vivano nel timore di subire violenze appunto e anche i commercianti siano spesso vittime di estorsioni o atti vandalici che compromettono il loro lavoro e la loro serenità.
Ne abbiamo parlato con la consigliera comunale del Pd Ombretta Ladu che è intervenuta anche durante la seduta del Consiglio comunale del 15 aprile proprio su questo tema.
Quali sono secondo lei le cause?
Il disagio giovanile è spesso la conseguenza di un disagio familiare, problemi economici, genitori assenti o poco presenti e talvolta contesti di violenza domestica. Ma c’è anche una responsabilità collettiva. In alcuni quartieri, l’assenza di spazi aggregativi e di opportunità di crescita personale spingono i ragazzi a cercare un senso di appartenenza più che in gruppi di amici in vere gang. Poi non dimenticherei il ruolo giocato dai social network. I nostri ragazzi e le nostre ragazze sono esposte continuamente a video e foto di atti criminali che vengono condivisi online. E poi c’è anche l’emulazione e la Cultura della Violenza. Per esempio la musica, i film e i videogiochi spesso trasmettono modelli di comportamento aggressivi e criminali, influenzando i loro comportamenti.
In questo scenario come possono muoversi le istituzioni? Cosa davvero potrebbe scardinare questa catena di violenza?
Dobbiamo cercare di essere concreti e trovare soluzioni che possano davvero essere applicate nel quotidiano. Ci sono state alcune risposte da parte del legislatore, come il Decreto Caivano che fra i vari interventi innovativi ha previsto la possibilità di applicare misure cautelari personali anche nei confronti di minori indagati anche per reati di minore gravità, che non sono sicuramente efficaci. Ricordiamo che molti giovani si avvicinano alle baby gang per noia o per mancanza di alternative. Creare spazi di aggregazione, può offrire ai ragazzi un’alternativa sana alla delinquenza. Da ricordare l’importanza dell’introduzione 10 anni fa dei centri di quartiere che hanno svolto un ottimo lavoro.
A scuola poi sarebbe fondamentale concentrarsi maggiormente anche sulle conseguenze dell’abuso di droghe e alcool. A Cagliari esistono già progetti finalizzati a costruire canali di comunicazione con i ragazzi, con team di psicologi e operatori di strada che forniscono protezione e supporto. Un esempio è il progetto COMUNITTEAM, che mira a creare una piattaforma di dialogo tra ragazzi, operatori, residenti dei quartieri e commercianti. Risulta quindi importante investire in figure di prevenzione capaci di accogliere il disagio giovanile direttamente nei luoghi da loro frequentati. Queste figure dovrebbero essere formate all’ascolto dei bisogni dei giovani, pur non essendo necessariamente professionisti del settore. Le azioni dei ragazzi, infatti, possono essere interpretate come risposte a bisogni inascoltati. Il periodo post- Covid ha visto un aumento delle problematiche adolescenziali, con un incremento delle forme di depressione giovanile.
E questo come lo si può realizzare?
Un approccio efficace potrebbe essere l’implementazione di processi formativi come il mentoring. Il mentoring prevede che una persona, il mentore, supporti, segua, guidi e promuova lo sviluppo personale e professionale di un’altra persona, il mentee. Il mentore può essere una figura diversa, come un amico, un parente, un prete, un allenatore, un istruttore, uno psicologo, un counselor o un insegnante. La relazione tra mentore e mentee, pur implicando una certa asimmetria, si configura (nel contesto scolastico o sociale) come una relazione basata principalmente sulla maggiore esperienza e conoscenza del mentore, data in particolare dalla differenza di età e di vissuto. Proprio questo divario esperienziale rappresenta una risorsa per il mentee, che può superare difficoltà, affrontare problematiche personali che influenzano negativamente il percorso scolastico o migliorare strategie inefficaci che generano frustrazione, grazie al supporto del mentore.
Ciò si realizza attraverso la capacità del mentore di porsi in modo empatico, evitando giudizi e distanze che creano distacco e percezioni di eccessiva diversità di valori e prospettive di vita. Il valore aggiunto del mentoring è la sua capacità di riavvicinare il ragazzo al mondo adulto, ristabilendo un clima di fiducia reciproca.
Per concludere però segnalerei che sarebbe anche utile la creazione di tavoli tecnici con esperti ma anche associazioni e ragazzi e ragazze stesse per capire quale potrebbe essere la risposta più efficace. Insomma dobbiamo sederci a parlare con i nostri cittadini più giovani e insieme a loro potremo costruire una città più sicura.
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