Lo sapevate? Come si chiama l’uva in sardo campidanese?

Vi siete mai chiesti come si dice "uva" in sardo campidanese? E soprattutto, da dove arriva questo termine?
Lo sapevate? Come si chiama l’uva in sardo campidanese?
Una parola semplice come “uva” nasconde in realtà un intero mondo di storia, cultura e tradizione, soprattutto se ci spostiamo in Sardegna, una terra dalla fortissima identità agropastorale, dove il vino e la viticoltura hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nella vita quotidiana e nelle celebrazioni del popolo sardo. Ma vi siete mai chiesti come si dice “uva” in sardo campidanese? E soprattutto, da dove arriva questo termine?
Nel campidanese, variante meridionale della lingua sarda, l’uva si chiama axina, con alcune varianti fonetiche come achina o aghina. Questo termine ha radici profonde che affondano nel latino, precisamente nella parola acinus, che significava “chicco d’uva” e da cui deriva anche il termine italiano “acino”. Ma la ricchezza lessicale non finisce qui: in Sardegna, l’uva viene anche chiamata ua, termine più vicino all’italiano ma comunque presente nel parlato sardo, così come esistono altri nomi curiosi e affascinanti, come trica, presoria, triga, appresorgia, presorgia – parole che raccontano la diversità dei dialetti e delle aree dell’isola.
Non mancano nemmeno le denominazioni legate alle caratteristiche dell’uva o al suo utilizzo: arbasolica è un nome antico che indicava l’uva bianca, mentre axina arrosa o axina niedda si riferiscono rispettivamente all’uva rossa e all’uva nera. C’è anche la grisa maggiore, un tipo di uva nera molto rinomata, e la axina aresti, che indicava una varietà selvatica di vite non innestata, da cui si ottenevano piccoli grappoli di uva nera, perfetti per produrre vini dal sapore intenso e rustico, capaci di “governare il vino”, come si diceva una volta. E infine c’è la suggestiva axina de mraxani, conosciuta anche come “uva turca” o fitoluca, che rimanda a una varietà particolare e misteriosa, evocando scambi lontani, storie di viaggi e contaminazioni.
Un semplice termine, insomma, che diventa porta d’accesso a un patrimonio linguistico, agricolo e culturale sorprendente, in cui ogni parola racconta una sfumatura della Sardegna più autentica.

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