Troppo pochi i giovani in politica. Ecco perché servono le quote generazionali. Ne parliamo con Matteo Lecis Cocco Ortu

La proposta di legge Guglielmo Minervini nasce dall’osservazione dei nostri consigli comunali, dei consigli regionali e del Parlamento, in cui l’età media supera i 50 anni, e in cui le giovani generazioni sono sempre meno presenti.
Sono sempre meno i giovani che si vogliono impegnare in politica o è la politica a tenere ai margini i giovani? Un po’ come è accaduto per la rappresentanza femminile, anche quella giovanile va assolutamente ribilanciata ed è per questo che nasce la proposta di legge Guglielmo Minervini. Ne abbiamo parlato con Matteo Lecis Cocco Ortu, attualmente Assessore alla Pianificazione strategica, urbanistica e ambientale del Comune di Cagliari e componente della Direzione Nazionale del Partito Democratico. Nel 2011, a 28 anni, è entrato in consiglio comunale dopo alcuni anni di militanza nel Pd e la mobilitazione per le primarie che hanno visto la vittoria di Massimo Zedda. Ho organizzato tre edizioni del laboratorio di partecipazione politica, contribuito a fondare il circolo Copernico e nell’ultimo congresso del PD ha coordinato la mozione di Elly Schlein in Sardegna.
Come nasce la proposta di legge Guglielmo Minervini?
La proposta di legge Guglielmo Minervini nasce dall’osservazione dei nostri consigli comunali, dei consigli regionali e del Parlamento, in cui l’età media supera i 50 anni, e in cui le giovani generazioni sono sempre meno presenti, nonostante nella società si assista a un grande attivismo giovanile. Nelle assemblee elettive la voce di chi ha meno di 35 anni è troppo flebile e anche per dare attuazione al principio costituzionale sull’interesse delle future generazioni riteniamo che sia necessario garantire una rappresentanza equilibrata all’interno delle istituzioni politiche, con un focus particolare sui giovani. È frutto di un’iniziativa nata dall’Associazione Minervini che dal basso sta coinvolgendo tutti coloro che hanno deciso di impegnarsi per mettere al centro del dibattito politico nazionale l’importanza del ricambio generazionale e del protagonismo giovanile. Entro luglio dovremo raccogliere 50.000 firme in tutta Italia (online con spid e cartacee) e per questo stiamo coinvolgendo in tutti i comuni d’Italia ragazze e ragazzi che si animano a raccogliere con noi le firme e organizzare iniziative per riflettere sui temi e i valori importanti per i giovani e sui motivi di questa scarsa rappresentanza generazionale.
Cosa si intende per quote generazionali?
Le quote generazionali sono percentuali stabilite che garantiscono che un certo numero di candidati in una lista elettorale appartenga a fasce di età specifiche. Le categorie possono includere giovani (18-35 anni), adulti (36-55 anni) e anziani (56 anni e oltre), con l’obiettivo di assicurare una rappresentanza bilanciata delle diverse generazioni, garantendo una quota tra il 10 e il 25 percento di under 35 in lista per ogni elezione. In più si prevede l’istituzione presso il Ministero dell’Interno di un Comitato Nazionale per la Parità Generazionale che avrà il compito di monitorare l’applicazione delle quote generazionali a livello nazionale, regionale e comunale.
Secondo lei la politica italiana ignora le nuove generazioni? E se sì, quali sono i motivi per cui secondo c’è questa profonda scollatura?
I giovani sono interessati e informati su quello che succede nel mondo e hanno voglia di mobilitarsi e di partecipare, ma molto poco lo fanno all’interno dei partiti. Basti pensare alle piazze dei Fridays For Future Italia e le azioni di Ultima Generazione Disobbedienza Civile che vogliono svegliare una politica troppo lenta sul contrasto all’emergenza climatica. Pensate alle piazze dei Pride che chiedono diritti per tutte e tutti e pensate alle piazze che si mobilitano contro i femminicidi e la cultura patriarcale e a sostegno del popolo palestinese sterminato dal governo di Netanyahu. I giovani si sono mobilitati per raggiungere il risultato straordinario di oltre 500.000 firme per il referendum sulla cittadinanza che ci deve vedere tutti mobilitati in vista dell’8 e 9 giugno. I partiti sono chiamati a rispondere a queste sollecitazioni ma in particolare la politica nazionale italiana ancora tende a ignorare le nuove generazioni.
Tra i motivi di questo scollamento in primis la scarsa fiducia nel sistema dei partiti che hanno bisogno di un grande rinnovamento non solo nelle leadership ma in tutti i loro sistemi organizzativi. E la predominanza di una classe politica anziana, anche a livello locale, il mancato ascolto delle esigenze dei giovani, e l’assenza di programmi che rispondano ai loro interessi e bisogni che oggi vedono centrali il tema della precarietà, le difficoltà economiche e le disuguaglianze crescenti.
Come migliorerebbe la rappresentanza se passasse questa proposta?
Se la proposta di legge passasse, si migliorerebbe la rappresentanza attraverso la creazione di un ambiente politico più inclusivo, in cui le decisioni tengono conto delle esigenze di tutte le fasce d’età. Le politiche pubbliche potrebbero diventare più rispondenti alle esigenze dei giovani, promuovendo una partecipazione attiva, facilitando il rinnovamento e affrontando i temi con una prospettiva intergenerazionale. Temi cari ai giovani come la tutela per le nuove forme di un lavoro sempre più precario, la salute mentale, la lotta alle disuguaglianze, il contrasto ai cambiamenti climatici, la multiculturalità e l’innovazione sarebbero temi all’ordine del giorno dei dibattiti istituzionali. Il 5 maggio saremo a Roma in Campidoglio per presentare la proposta di legge di iniziativa popolare insieme a tutti i partiti di tutto l’arco costituzionale e alle associazioni e movimenti che aderiscono alla campagna per le ‘quote generazionali‘.
Lei nella sua esperienza politica si è fatto spazio senza quote? Quanto è stato faticoso?
Io sono stato molto fortunato perché ho iniziato la mia esperienza politica in un momento storico per la nostra città in cui stavamo vivendo una fase di profondo cambiamento grazie alla vittoria alle primarie di un trentacinquenne che aveva scombussolato gli equilibri dei partiti storici da sempre all’opposizione nella politica locale. In quel momento il segretario cittadino del PD mi chiese di candidarmi, e da quel momento ho chiesto un consiglio e attivato tutte le persone con cui fino a quel momento avevo condiviso la mia vita di studente, giovane professionista attivo nel mondo dell’ associazionismo e del sociale. La collaborazione, la fiducia e la generatività sono stati gli elementi che mi hanno aiutato in questo percorso. Oltre al continuo studio e la costruzione di reti di impegno con quanti condividevano il mio approccio e i miei valori, dentro e fuori il partito democratico. È un grande aiuto è stata l’organizzazione di laboratori di partecipazione politica a cui hanno partecipato decine di giovani desiderosi di confrontarsi con una politica diversa da quella descritta sui media.
Spesso le quote rosa non hanno portato ai risultati sperati? In questo caso si eviteranno gli stessi errori?
Il tema delle “quote” è sempre divisivo nel dibattito politico. Anche io teoricamente non sono un fan del sistema delle quote ma la pratica mi ha portato a ricredermi. Quando nel 2011, a 28 anni, sono stato eletto in consiglio comunale ho vissuto un’esperienza che oggi sembra assurda: un consiglio comunale a Cagliari con solo 2 donne su 40 consiglieri; nel gruppo del PD eravamo in 13; 13 uomini che si confrontavano sulle scelte politiche per la città. Le quote non bastano e non sono la panacea, ma hanno iniziato a invertire la tendenza per quanto riguarda a rappresentanza di genere. Nel caso delle quote generazionali è chiaro che non basti solo candidare più giovani ma sicuramente una maggior partecipazione giovanile potrà aiutare tutti i partiti a vivere un ricambio generazionale che potrà solo fare bene alla politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA