Quella che poteva trasformarsi in una drammatica vicenda di cronaca nera si è consumata nella serata di ieri a Mulinu Becciu, quartiere popolare di Cagliari, dove una donna è stata violentemente assalita dai suoi stessi cani. La notizia è stata riportata dal quotidiano L’Unione Sarda.

La protagonista della vicenda, residente in un’abitazione di piazza delle Muse, conviveva con ben tredici pitbull: cinque esemplari adulti e otto cuccioli. Per cause ancora da chiarire, alcuni dei cani l’hanno improvvisamente aggredita, procurandole gravi ferite alle braccia e all’addome. Solo grazie al suo sangue freddo e all’aiuto di una vicina è riuscita a mettersi in salvo, rifugiandosi nell’appartamento accanto.

La scena ha scatenato il terrore tra gli altri abitanti del palazzo, costretti a uscire in strada per mettersi al sicuro mentre i cani vagavano in libertà nel complesso residenziale.

Sul posto sono intervenute immediatamente le pattuglie della polizia, i vigili del fuoco e il personale sanitario del 118. È stato anche richiesto l’intervento del servizio Dog Hotel, specializzato nel recupero di animali, per mettere in sicurezza i cani. I cinque esemplari adulti sono stati catturati dagli accalappiacani, insieme agli otto cuccioli.

La donna, ferita ma cosciente, è stata trasportata all’ospedale, dove si trova ora sotto osservazione. Nel frattempo sono in corso le indagini per accertare le condizioni in cui venivano detenuti gli animali e verificare eventuali responsabilità. Un episodio che di sicuro riaprirà il dibattito sulla gestione e l’allevamento di razze canine potenzialmente pericolose in contesti domestici non adeguati.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.