Oggi la comunità di Carloforte celebra con gioia il centesimo compleanno di tzia Francesca Vitiello. La festeggiata, ospite della struttura Opera San Vincenzo De’ Paoli, ha raggiunto questo importante traguardo circondata dall’affetto di amici, parenti e, in particolare, di altre tre centenarie residenti nella stessa struttura: Tzia Luigia Feola, Tzia Anna Damele e Tzia Anna Farris. Un vero e proprio “poker di longevità”.

I festeggiamenti sono stati arricchiati, stamane, anche dalla presenza di Pierino Vargiu e Angela Mereu, ambasciatori dei centenari in Sardegna, che hanno fatto visita alla struttura carlofortina per porgere personalmente i loro auguri a Tzia Francesca e salutare le altre centenarie. La loro partecipazione ha contribuito a rendere la giornata ancora più speciale.

Pierino Vargiu e Angela Mereu con le centenarie carlofortine

La presenza di quattro centenarie nella stessa struttura è un evento raro e significativo, che pone l’accento sull’importanza di un ambiente sereno e di cure adeguate per il benessere degli anziani. La comunità di Carloforte può essere orgogliosa di offrire un contesto così favorevole alla longevità e alla qualità della vita dei suoi cittadini più anziani.​

In questa giornata di festa, tzia Francesca Vitiello è senza dubbio la protagonista indiscussa, simbolo di una vita lunga e ricca di esperienze, circondata dall’affetto di una comunità che celebra con lei questo straordinario traguardo e dall’affetto delle sue amiche di lunga vita.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.