Nel cuore della Barbagia, il piccolo comune di Seulo ospita un murale dal profondo valore simbolico: “Il Laureato”, un’opera dell’artista Mauro Patta realizzata nel 2020. Quest’opera di 80 metri quadrati celebra un primato che ha reso celebre il paese negli anni ’60 e ’70: il più alto numero di laureati in tutta la Sardegna.

In quegli anni, molte famiglie di Seulo, nonostante le radici profondamente legate alla pastorizia, hanno investito nell’istruzione dei propri figli, dando vita a un fenomeno straordinario per un piccolo centro montano. Tra le storie più emblematiche si racconta di giovani pastori che riuscivano a studiare tra i pascoli, portando avanti sia il lavoro nei campi che la loro formazione accademica.

Il murale di Mauro Patta rappresenta visivamente questo legame tra tradizione e istruzione, restituendo alla comunità un’immagine potente della sua storia. L’opera non è solo un tributo ai laureati del passato, ma un messaggio rivolto alle nuove generazioni, affinché l’istruzione continui a essere un valore centrale per la crescita del paese.

Questa pittura murale si inserisce in un più ampio movimento di street art in Sardegna, che sta trasformando borghi e città in veri e propri musei a cielo aperto. “Il Laureato” non è solo un’opera d’arte, ma una testimonianza visiva di un’identità collettiva che continua a vivere attraverso il tempo.

Il murale di Mauro Patta a Seulo: “Il Laureato”

.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.