Un intervento spettacolare dei vigili del fuoco di Sassari ha permesso il salvataggio di un intero gregge di pecore, finito nel fiume Riu Mannu, nelle campagne di Mores, mentre cercava di sfuggire all’attacco di un branco di cani. L’episodio, avvenuto nelle ultime ore, ha visto momenti drammatici, con le pecore in fuga per salvarsi da un assalto che si è purtroppo concluso con gravi perdite.

Prima che i soccorsi potessero intervenire, una ventina di pecore sono state uccise dai cani. Il branco ha attaccato improvvisamente, scatenando il panico tra gli animali, molti dei quali si sono gettati nel fiume nel disperato tentativo di scappare. L’intervento tempestivo dei vigili del fuoco ha però evitato che la tragedia fosse ancora più grave.

Le squadre di soccorso sono giunte rapidamente sul posto con un dispiegamento imponente di forze, tra cui le unità di terra, i sommozzatori e l’elicottero. Le operazioni si sono rivelate complesse, ma grazie alla loro competenza e coordinazione, i vigili del fuoco sono riusciti a recuperare gli animali rimasti in vita dalle acque del fiume e a metterli al sicuro.

Il gregge è stato quindi riconsegnato al proprietario, che ha potuto tirare un sospiro di sollievo dopo il dramma subito. L’intervento dei vigili del fuoco ha dimostrato ancora una volta la loro professionalità e prontezza nel fronteggiare situazioni di emergenza anche in contesti rurali e difficili.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.