Cabras e i suoi giovani rendono omaggio a Michela Murgia con un murale

Prima del simbolico taglio del nastro, fatto dai ragazzi che hanno preso parte all’opera, mamma Costanza ha preso la parola: “Michela amava i ragazzi, parlava a tutti loro con il cuore aperto e credeva in loro. Andando via ha lasciato un messaggio: non vi adagiate, cambiate il mondo. L’opera di Michela non è dunque finita, attraverso i giovani lei cammina nel mondo e nelle scuole, continuando a dire le cose che ha detto in questi anni, per fare in modo che il futuro delle nuove generazioni possa essere vissuto in un mondo migliore”.
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È stato inaugurato questa mattina a Cabras il murale dedicato a Michela Murgia. L’opera, che si trova nella grande parete del parchetto di viale Colombo, è stata realizzata dalle classi 3° A e 5°C dell’Istituto artistico Carlo Contini di Oristano, con il prezioso contributo dei ragazzi delle classi terze dell’Istituto comprensivo di Cabras.
Il progetto è stato patrocinato dal Comune di Cabras, che ha messo a disposizione l’area, acquistando le attrezzature e preparando la parete affinché i giovani e le giovani artiste potessero esprimere la loro arte, sotto la guida dei docenti della scuola d’arte Gloria Musa, Sabrina Oppo, Josephine Sassu e Francesco Casale e, per l’istituto di Cabras, della professoressa Daniela Finocchio.
Questa mattina, davanti al grande murale, erano presenti gli amministratori, con il sindaco Andrea Abis, i dirigenti dei due istituti coinvolti, Pino Tilocca e Paolo Figus, e i tanti ragazzi che hanno preso parte all’ambizioso omaggio all’intellettuale cabrarese scomparsa lo scorso 10 agosto.
Ad accogliere in un virtuale abbraccio tutti i protagonisti è stata la famiglia di Michela, la mamma Costanza, il fratello Cristiano e con loro anche Annetta Marongiu, zia e mamma d’anima di Michela.
Due le immagini che in una settimana di lavoro i ragazzi e le ragazze hanno impresso sulla parete. Nella prima Cabras è sullo sfondo, con lo stagno e il profilo della chiesa di Santa Maria, dove la scrittrice ha mosso i primi passi e da dove è iniziata la sua formazione che l’ha portata poi ad approfondire tematiche legate al mondo laico e della religione cristiana. Alcune donne che corrono scalze e una citazione della scrittrice tratta dal libro Stai zitta: “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”. Di fianco, pensieri e frasi di divieto rivolte al genere femminile – le donne devono stare a casa, non truccarti, alle bambine si regalano le bambole – che nel murale vengono simbolicamente date alle fiamme da Michela Murgia, al grido di “Siate sovversive!”.
A spiegare la seconda immagine è Martina, la studentessa che ha realizzato il bozzetto originale: “Il murale rappresenta la potenza delle sue parole, delle sue azioni e delle sue lotte, il messaggio che non tutti hanno capito. L’immagine di Michela è associata a quella di un uccello, un essere che vola libero, le cui piume sono penne, strumento di scrittura per eccellenza. Queste penne, questo pensiero e questo volo sono fondamentali per l’opera distruzione dei retaggi culturali di cui Michela si è fatta paladina”.
Prima del simbolico taglio del nastro, fatto dai ragazzi che hanno preso parte all’opera, mamma Costanza ha preso la parola: “Michela amava i ragazzi, parlava a tutti loro con il cuore aperto e credeva in loro. Andando via ha lasciato un messaggio: non vi adagiate, cambiate il mondo. L’opera di Michela non è dunque finita, attraverso i giovani lei cammina nel mondo e nelle scuole, continuando a dire le cose che ha detto in questi anni, per fare in modo che il futuro delle nuove generazioni possa essere vissuto in un mondo migliore”.

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Alla scoperta della balentìa, il mito del coraggio sardo tra valore e contraddizione

La balentìa rappresenta uno dei concetti più profondi e discussi dell’identità sarda, un termine che va ben oltre la semplice definizione linguistica per farsi simbolo di un intero modo di intendere la vita. Ma che cosa è veramente la balentìa?
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Alla scoperta della balentìa, il mito del coraggio sardo tra valore e contraddizione.
La balentìa rappresenta uno dei concetti più profondi e discussi dell’identità sarda, un termine che va ben oltre la semplice definizione linguistica per farsi simbolo di un intero modo di intendere la vita. Ma che cosa è veramente la balentìa?
Derivata dalla parola sarda balente, che indica l’uomo valoroso, forte, deciso e coraggioso, la balentìa racchiude in sé un patrimonio di significati che intreccia storia, cultura e sentimento collettivo. È valore, bravura, abilità, vigore, ardimento, forza, coraggio e virilità, ma anche onore, rispetto e lealtà, principi che per secoli hanno costituito la base morale delle comunità sarde, soprattutto in quelle zone dove la parola data e la reputazione valevano più di qualunque legge scritta. Nell’immaginario tradizionale l’uomo balente era colui che non conosceva la paura, che sapeva difendere i deboli, mantenere la parola e affrontare le avversità con dignità e fermezza. Era una figura che univa fierezza e silenzio, forza e misura, incarnando quella nobiltà d’animo che si esprimeva più nei gesti che nelle parole. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, la balentìa ha iniziato a cambiare volto, perdendo in parte la sua purezza originaria. Quello che un tempo rappresentava un ideale di coraggio e rispetto reciproco si è spesso trasformato in un concetto ambiguo, talvolta associato a una forza ostentata, a un’idea di potere personale o a prove di coraggio prive di senso.
È in questo slittamento che la balentìa ha assunto anche un’accezione negativa, diventando sinonimo di sfida inutile, di gesti impulsivi, di una virilità esibita più per orgoglio che per vero valore. Non a caso in Sardegna si usa dire balentias chi bandant e benint, miti che vanno e che vengono, che non durano, un modo per ricordare che il vero coraggio non ha bisogno di clamore e che gli eroi effimeri si dissolvono, lasciando spazio a chi dimostra la propria forza attraverso i fatti, non attraverso la vanità. Nella letteratura e nella cultura popolare sarda, la balentìa ha mantenuto un posto centrale, narrata nei canti a tenore, nelle storie tramandate oralmente e nelle opere di scrittori come Grazia Deledda e Salvatore Cambosu, che ne hanno esplorato sia la grandezza che le ombre. Oggi questo concetto sopravvive come eredità morale e culturale, come simbolo di un popolo che ha fatto del rispetto, della fierezza e della resistenza silenziosa i propri tratti distintivi. Ma la balentìa moderna non è più soltanto un ideale maschile legato alla forza fisica o all’orgoglio personale: rappresenta piuttosto una forma di coraggio consapevole, una virtù che si manifesta nella capacità di affrontare la vita con dignità, determinazione e senso di giustizia. La vera balentìa non si impone e non cerca riconoscimenti: vive nei gesti quotidiani, nella solidarietà silenziosa, nella perseveranza di chi, senza rumore, difende i propri valori e la propria terra. È un mito che resiste al tempo, un’eredità viva che continua a raccontare l’anima più autentica della Sardegna.

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