Le cinque opere d’arte più famose della Sardegna: quali avete visto?
Tra statue, monumenti e dipinti, il patrimonio culturale dell’isola è ricchissimo: oggi vediamo insieme quali sono le cinque opere d'arte più famose e rappresentative per la Sardegna. Voi quali avete avuto la fortuna di vedere dal vivo?
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In Sardegna, non solo spiagge magnifiche ma anche tanta, tanta cultura.
Tra statue, monumenti e dipinti, il patrimonio culturale dell’isola è ricchissimo: oggi vediamo insieme quali sono le cinque opere d’arte più famose e rappresentative per la Sardegna.
Voi quali avete avuto la fortuna di vedere dal vivo?
Partiamo dagli ormai celebri Giganti di Mont’e Prama, che fanno parte del patrimonio culturale sardo sin dagli albori della civiltà. Queste imponenti statue, risalenti al periodo neolitico, sono state trovate casualmente nel marzo del 1974 in località Mont’e Prama, nel Sinis ( Cabras). Sono state scolpite a tutto tondo da un unico blocco di calcarenite e la loro altezza varia tra i due e i due metri e mezzo e come nelle raffigurazioni dei bronzetti nuragici rappresentano arcieri, guerrieri e pugilatori. Esposte per la prima volta unitariamente nel 2014 nel Centro di restauro di Li Punti a Sassari, è possibile ammirare oggi le sculture presso il Museo civico Giovanni Marongiu di Cabras, dove sono esposte 11 sculture e presso il Museo archeologico nazionale di Cagliari, dove si trovano le altre 33 sculture.
Il Pergamo di Guglielmo, dalle forme imponenti e dalle decorazioni ricercate in stile romanico, è indubbiamente una delle opere scultoree più famose e iconiche di tutta la Sardegna. Questo pulpito in marmo che ancora oggi si mostra in splendida forma, è conservato con grande cura al suo posto d’origine, all’interno del Duomo di Cagliari. Venne realizzato dallo scultore Maestro Guglielmo per il Duomo di Pisa tra il 1159 e il 1162. Dopo essere stato sostituito con un nuovo pulpito nel 1310, è stato smontato e trasferito nella cattedrale di Cagliari nel 1312. Durante i restauri del XVII secolo il pulpito è stato smembrato e le varie parti sono state collocate nelle attuali posizioni, perdendo purtroppo l’epigrafe originale che riportava il nome dell’autore e gli anni di realizzazione.
Nella grande Pinacoteca Nazionale di Cagliari, tra le numerose opere d’arte che vi sono custodite, spicca la maestosa Sant’Agostino in cattedra, una creazione del famoso artista cagliaritano Pietro Cavaro del XVI secolo. Ammirando il celebre dipinto di questo talentuoso artista, potrete immergervi nella sua magnifica arte e apprezzare l’incredibile bellezza senza tempo delle sue opere. La tavola di sant’Agostino era originariamente nella chiesa di Sant’Agostino Vecchio, ma dopo la demolizione della chiesa è stata trasferita nel Sant’Agostino Nuovo. L’attribuzione dell’opera è stata discussa nel corso degli anni, con diverse ipotesi su chi fosse l’autore. Nel 1928 Carlo Aru l’aveva attribuita ad un ignoto autore sardo, ma successivamente l’opera è stata attribuita a Pietro Cavaro sulla base di confronti con altre opere del medesimo autore.
Il Retablo di Tuili, un’opera d’arte rappresentativa della Sardegna, attira turisti e appassionati d’arte da ogni parte del mondo. Quest’opera, magnificamente eseguita e ricca di dettagli accurati, viene attribuita all’artista noto come “Maestro di Castelsardo”, la cui identità vera incute ancora un certo mistero e fascino alla sua arte. Il Retablo è custodito nella Chiesa di San Pietro a Tuili, un luogo sacro che incanta per la sua bellezza architettonica e l’impressionante quantità di arte. Il retablo di Tuili è stato commissionato nel 1489 per la chiesa parrocchiale di San Pietro e completato il 4 giugno 1500, come attestato da un atto notarile. Questa opera è considerata la più matura del maestro, mostrando una fusione tra la cultura italiana del Quattrocento e la pittura fiamminga, sia per i dettagli che per l’uso del colore.
Concludiamo il nostro piccolo viaggio nell’arte con la Trasfigurazione di Raffaello, un’opera d’arte molto apprezzata dell’artista sardo Andrea Lusso della metà del Seicento, è conservata all’interno della chiesa di Sant’Andrea a Sedini. Questo luogo tranquillo immerso nella natura, serve da scrigno per ospitare una delle opere d’arte più affascinanti e preziose di tutta la Sardegna. Ammirando questo dipinto potrete permeare la bellezza dell’arte e sperimentare la pace che circonda questo luogo sacro e affascinante.
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I 160 anni del liceo Classico Dettori: il ricordo di Claudia Sarritzu, ex studentessa dei primi anni 2000

In questi giorni si festeggiano i 160 anni del celebre Liceo Classico Dettori di Cagliari. Oggi riportiamo con piacere i ricordi della giornalista Claudia Sarritzu, che negli anni 2000 ha vissuto e studiato tra i banchi e i corridoi che hanno fatto la storia dell'istruzione cagliaritana.
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In questi giorni si festeggiano i 160 anni del celebre Liceo Classico Dettori di Cagliari.
Oggi riportiamo con piacere i ricordi della giornalista Claudia Sarritzu, che negli anni 2000 ha vissuto e studiato tra i banchi e i corridoi che hanno fatto la storia dell’istruzione cagliaritana.
«C’erano ancora le Torri gemelle a New York, la lira stava sui nostri borsellini e dentro le scuole, nei bagni, il fumo di sigaretta, era l’odore normale della nostra adolescenza. Non so dire esattamente quando decisi di iscrivermi al liceo Classico Dettori, forse non ci fu un momento esatto. Non ricordo altre opzioni. Che avrei fatto il classico lo sapevo dalle elementari. La linea 30 del Ctm mi avrebbe portata diretta da Piazza Repubblica a casa. All’andata invece avrei avuto il passaggio di mia zia che ha lavorato 40 anni al Palazzo di Giustizia (il suo ufficio dava esattamente davanti al corridoio di via Amat dove si affacciava la mia mitica sezione F, mi ricordo di aprire il finestrone e salutarla).
Era il 2000. Prima di iscrivermi rammento un pomeriggio con la mia migliore amica delle scuole medie e le nostre rispettive mamme, a gironzolare per le aule vuote e gli uffici della presidenza. Una sorta di visita guidata solo per noi, che ci fece fare la segretaria dell’epoca, amica non so più di chi.
Qualcuno mi ha chiesto di recente se a 14 anni avessi consapevolezza dell’importanza storica della Scuola. Posso rispondere di sì. Mio nonno, classe 1921, rimasto invalido di guerra nella battaglia di El Alamein, una volta tornato a casa, dopo una lunga riabilitazione, fu impiegato come bidello proprio al Dettori, prima nel vecchio stabile di piazzetta Dettori e poi in via Cugia dove svolse il ruolo di usciere fino alla pensione. La nuova struttura era un imponente edificio progettato dall’architetto Maurizio Bufalini, che rielaborò bozze di epoca fascista e che lo costruì tra il 1954 e il 1957. Anno in cui nacque mio padre.
A destra, nell’atrio, la prima cosa che notai quel lontano pomeriggio, fu un piccolo altare ai caduti. C’erano incisi i nomi degli studenti deceduti nelle due guerre mondiali. Mentre in alto in cima alle scale, l’immagine di Antonio Gramsci, che ogni mattina per cinque lunghi anni ci ricordava quanto fossimo insignificanti in confronto alla sua gigantesca memoria, presenza costante in tante cerimonie e occasioni. Una figura immensa con cui ovviamente era inutile provare a immedesimarsi. C’erano le sue pagelle esposte nelle teche. I voti altissimi ma ad attirare la mia attenzione fu soprattutto quell’esonero certificato per non praticare l’educazione fisica per motivi di salute. La sua faccia ragazzina. E poi le foto di tutti gli altri in bianco e nero, tantissimi ragazzi in abito scuro, le donne delle classi femminili con grembiuli stirati.
Certo ti emozioni se sai già a quell’età chi è Gramsci. Magari non capisci tutto il suo pensiero ma sai che per le sue idee ha pagato con la vita. Quel brivido lo provava solo chi a casa aveva la grande fortuna di avere genitori che lo avevano letto e nominato spesso anche con noi bambini.
Fu Francesco Alziator su L’Unione Sarda del 9 dicembre 1960 a celebrare il secolo di vita del liceo G. M. Dettori che si era appena trasferito in piazza Repubblica. Se sto scrivendo questo amarcord delle mie prime impressioni è perché il liceo compie la veneranda età di 160 anni. Un traguardo importante e un elenco lungo e prezioso di ex alunni illustri, oltre a Gramsci, Giuseppe Dessì, Delio Cantimori, Renzo Laconi, Filippo Figari, Francesco Alziator, la prima avvocata di Cagliari, Giovanna Crespellani. E potremmo continuare per molte righe elencando tutti i grandi uomini e le grandi donne di cultura che si sono formati lì.
La mia scuola non era stata pensata per essere accogliente come quelle che vengono costruite oggi. Chi aveva progettato quell’edificio aveva l’intento di incutere paura. Di ribadire che la Scuola era lo Stato e lo Stato andava rispettato e temuto. Non è un caso la somiglianza con il vicino Palazzo di Giustizia. La facciata principale infatti è caratterizzata da un alto pronao architravato. Un modo molto efficace per far sentire piccoli e schiacciati coloro che accedono.
In questi giorni è stata inaugurata la nuova aula magna che ho avuto il piacere di frequentare quando ancora aveva le poltroncine in pelle rossa. I lavori di restauro sono stati curati da Teresa De Montis, ed è evidente lo sforzo di coniugare memoria storica e tecnologia avanzata. Uno spazio che parla ai tempi odierni e che forse è giusto sia così, perché le scuole non possono essere musei, ma strutture vive e dialoganti con le nuove generazioni.
Non so se i 13enni di oggi si fermino mai a leggere i nomi dei loro antichi compagni caduti combattendo. Non so se sappiano davvero chi è quell’uomo raffigurato nella parete della scala a forbice, che li guarderà ogni giorno per cinque anni. Non so più chi si emoziona a guardare le sue pagelle o quelle di Giuseppe Dessì perché non so neppure se Dessì si legga ancora.
So che a 19 anni, il giorno dell’orale del mio esame di maturità, prima di uscire e percorrere le scale in discesa verso il cortile dove ad aspettarmi c’era mia madre, mi voltai un’ultima volta verso Antonio, Nino come forse lo chiamavano i suoi compagni, e mi accorsi che quell’emozione di avere una cosa in comune con lui non mi aveva abbandonata per tutto quel tempo.
Far parte di una Storia anche se non si fa la Storia è stato per me un grande onore. E spero che anche le prossime generazioni possano coglierne l’importanza. Studiare in un liceo ancorato al presente ma che non dimentica il suo illustre passato è un dono da non gettar via. Credo che sia l’unica ricetta per formare adulti consapevoli e capaci di interpretare i tempi che gli è toccato vivere».
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