Lo sapevate? Il lattice dell’euforbia, “sa lua”, veniva usato anche per pescare

In Sardegna l'euforbia si chiama “Sa lua” e si trova dappertutto. Contiene un lattice fortemente urticante che un tempo veniva utilizzato per stordire i pesci e pescarli facilmente, “Su pisci alluau”. In tempo di guerra si usava il lattice per simulare la cecità e farsi riformare e negli ultimi anni la scienza ne ha individuato le virtù terapeutiche.
Lo sapevate? Il lattice dell’euforbia (Sa lua, in sardo) veniva usato anche per pescare.
In Sardegna, una delle piante più diffuse e riconoscibili è l’euforbia, conosciuta localmente con il nome di “Sa lua”. Questa pianta cresce praticamente ovunque, dalle zone più rocciose alle campagne incontaminate, un simbolo della resilienza della natura sarda. Ma “Sa lua” non è solo una pianta come le altre. La sua caratteristica più distintiva è il lattice che contiene, una sostanza dall’effetto fortemente urticante, che nel passato ha trovato un uso incredibilmente ingegnoso tra i pescatori locali. Il lattice, infatti, veniva utilizzato per stordire i pesci, un metodo che permetteva di catturarli facilmente, noto come “Su pisci alluau”. Una tradizione antica che dimostra la stretta connessione degli abitanti dell’isola con la natura e la loro capacità di sfruttarla a loro favore. Ma l’utilizzo di questa pianta non si fermava certo alla pesca. Durante il periodo di guerra, quando le necessità di sopravvivenza erano estreme, il lattice di “Sa lua” veniva impiegato per simulare la cecità. Un espediente utilizzato per farsi riformare, evitando così di dover affrontare le dure condizioni del fronte. Oggi, però, “Sa lua” ha acquisito un nuovo significato. La scienza, infatti, ha iniziato a studiarne le virtù terapeutiche, rivelando proprietà che vanno ben oltre l’uso tradizionale. Un viaggio che, da un semplice rimedio popolare, ha portato questa pianta a essere riconosciuta per i suoi potenziali benefici in campo medico, aprendo così a nuove possibilità di utilizzo che ne ampliano ancora una volta la grandezza e l’importanza nella cultura e nella vita quotidiana della Sardegna.
L’euforbia è una diffusissima pianta della macchia mediterranea, che in Sardegna si può trovare praticamente ovunque. È un arbusto a chioma tondeggiante, che cresce prevalentemente in cespugli, ma talvolta assume la forma di alberello che raramente arriva fino a 3 metri di altezza. Produce dei fiorellini minuti gialli, disposti a ombrello da gennaio ad aprile, e quando arriva la stagione più calda va in letargo. La pianta, che in sardo si chiama “Lua” contiene un lattice tossico, fortemente urticante per le mucose e la pelle. Un tempo veniva utilizza per agevolare la pesca dei pesci dei fiumi e degli specchi d’acqua dell’interno dell’Isola: i pescatori sminuzzavano i rametti dell’Euforbia in un contenitore con dell’acqua tiepida e li pressavano in modo da far fuoriuscire tutto il lattice. La poltiglia ottenuta veniva versata nel corso d’acqua, essendo tossica per i pesci li stordiva facilitandone la cattura. Oggi questo sistema di pesca non si usa più perché è vietato, si usa ancora invece il modo dire “Alluau” riferito alle persone poco sveglie, o intontite dall’effetto di alcool o droghe appunto come “Su pisci alluau”.
Nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando i soldati scarseggiavano e venivano reclutati ragazzi sempre più giovani, si racconta che alcuni di loro per non venire arruolati, la sera prima della chiamata si fossero strofinati gli occhi col lattice dell’euforbia. La sostanza è talmente irritante da provocare, oltre a dolori lancinanti, una cecità transitoria, ma naturalmente la dolorosa gabola fu presto smascherata, e i ragazzi purtroppo furono costretti a partire per il fronte.
Due anni fa, un team di ricercatori della facoltà di Biologia Molecolare dell’Università di Cagliari, hanno isolato una proteina del lattice dell’Euforbia capace di ridurre del 95 per cento la crescita e la moltiplicazione dei protozoi che causano la leishmaniosi, la terribile malattia parassitaria trasmessa attraverso la puntura del pappatacio, che in Sardegna colpisce moltissimi cani ed è trasmissibile, anche se raramente, all’uomo.

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