Il saluto della Frassinetti Elmas ad Alessandro Sanna, morto nello schianto in Viale Marconi
Dirigenti e compagni di squadra sono ancora sconvolti per quanto successo al loro giovane talento ieri all'alba.
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La società calcistica Frassinetti Elmas ha dedicato ad Alessandro Sanna, morto ieri nel tragico schianto in Viale Marconi, un post su Facebook. Dirigenti e compagni di squadra sono ancora sconvolti per quanto successo al loro giovane talento ieri all’alba.
Insieme a questo messaggio “L’ ASD Frassinetti Elmas si unisce all’immenso dolore della Famiglia Sanna per la tragica scomparsa del caro Alessandro” la squadra ha postato una foto del 19enne, scattata mentre si divertiva in campo.
Tantissimi i commenti di amici e conoscenti: “Alessandro per sempre nel cuore”, “Un dolore immenso per le famiglie che hanno perso drammaticamente quattro giovani figli”, “Senza parole siamo vicini alla famiglia tutta e preghiamo silenziosamente per loro”.
Oltre ad Alessandro Sanna hanno perso ieri la vita in quell’auto anche Najibe Zaher, Simone Picci e Giorgia Banchero. Quattro giovani volati via troppo presto.
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21 dicembre 1979: Fabrizio De André e Dori Ghezzi vengono liberati dai rapitori

La liberazione ebbe luogo in seguito al pagamento di un cospicuo riscatto, e fu incredibilmente questione di poche ore: Dori fu rilasciata alle 23 del 21 dicembre, Fabrizio alle 2 del 22. I due erano stati rapiti a Tempio il 27 agosto.
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Negli anni ’70 Fabrizio “Faber” De André acquistò un vasto terreno nei pressi di Tempio Pausania. Lì si stabilì già pochi anni dopo, in cerca della tranquillità necessaria soprattutto alla sua compagna, Dori Ghezzi, in attesa della figlia della coppia, Luisa Vittoria. Fu proprio da quella casa, però, che la notte del 27 agosto 1979 Faber e Dori vennero rapiti dall’Anonima sarda, banda di sequestratori che fin dagli anni ’60 terrorizzava l’Isola. Il 21 dicembre la liberazione.
Per quattro mesi, Fabrizio e Dori furono costretti a una vita fatta di catene, bende sugli occhi e ore passate legati agli alberi dei fitti boschi dell’entroterra. Sottoposti a un trattamento degradante fisicamente e psicologicamente, da carcerieri che però – come raccontarono poi i due – mantennero un comportamento “tutto sommato umano”: erano lunghi e frequenti i momenti passati senza i cappucci in testa, e mai mancarono le sigarette e i cerini dai quali Faber quasi dipendeva. L’attesa era poi intervallata da lunghe conversazioni sulla politica, improvvisati giochi di carte e le chiacchiere alcoliche di alcuni dei rapitori, uno dei quali – sotto gli effetti dell’alcol – confessò il proprio dispiacere per il trattamento riservato “soprattutto a Dori”, come raccontò poi la donna.
La liberazione ebbe luogo in seguito al pagamento di un cospicuo riscatto, e fu incredibilmente questione di poche ore: Dori fu rilasciata alle 23 del 21 dicembre, Fabrizio alle 2 del 22. Fu Giuseppe De André, padre del cantautore genovese, a pagare nella quasi totalità i 550 milioni richiesti per il rilascio. A novembre del 1985, poi, tutti e dodici gli appartenenti alla banda furono arrestati e condannati. Al processo Faber ribadì il proprio perdono per gli esecutori materiali del rapimento, e si costituì parte civile nell’accusa ai soli capi della banda, economicamente agiati – un noto veterinario toscano e un assessore comunale sardo del PCI – e quindi privi della necessità, che il cantautore considerava evidentemente un attenuante per gli altri uomini.
Un’intera raccolta di brani – priva di titolo, ma nota come L’indiano per il pellerossa raffigurato in copertina – fu il frutto artistico dell’esperienza, che legò ancor più saldamente il cantautore alla Sardegna.
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