“Il mare di Ostia come quello della Sardegna”: il premio dell’Arpa fa discutere i sardi ( e non solo)

Le acque del litorale romano hanno ricevuto un encomio dalla prestigiosa Arpa, che le ha classificate come “eccellenti” come quelle della Sardegna. Inutile dire che si sono sprecate le battute e le polemiche
Le acque del litorale romano hanno ricevuto un encomio dalla prestigiosa Arpa, che le ha classificate come “eccellenti” come quelle della Sardegna.
Questa valutazione positiva è stata confermata anche dal decreto emesso dal presidente della Regione, Francesco Rocca, che individua e classifica le acque destinate alla balneazione e i punti di monitoraggio.
Il paragone con la Sardegna ha però chiaramente suscitato non poche polemiche non solo da parte dei sardi ma anche da parte degli stessi laziali, che conoscono bene la differenza tra il loro mare e il nostro, dove in tanti ogni anno decidono di trascorrere le ferie estive.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quando non c’era il grano, si mangiava Su Pan’Ispeli: conoscete il pane antico della Sardegna?

Citato da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.
In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.
Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.
L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.
Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.
Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.

© RIPRODUZIONE RISERVATA