Era dicembre 2020 quando intensi profumi sudamericani hanno invaso la strada Viale Colombo di Quartu: nella cucina di Toro Churrascaria Marcos Paulo preparava i suoi churrascos, mentre le porte del suo ristorante autentico brasiliano si aprivano per la prima volta. Le pareti in pietra, il soffitto in legno e l’allegra musica popolare latina che risuona nel locale confondendosi con il chiacchiericcio dei commensali: ci basta un attimo per capire che Toro Churrascaria è il posto perfetto per chi vuole godersi un’esperienza gastronomica brasiliana al cento per cento e addentrarsi nelle sua affascinante cultura. Il menù è ricco di prelibatezze brasiliane che ruotano intorno ad un unico grande protagonista: il churrasco. L’arte del churrasco, ovvero della tipica grigliata brasiliana, è tipica “Das Churrascarias”, ristoranti informali brasiliani, nati nelle regioni del sud Brasile, ed è proprio al Sud di questo Paese che troviamo la regione di Santa Catarina, dove Marcos Paulo è nato e cresciuto.
Alla base del churrasco ci sono varie tipologie e tagli di carne, dal pollo al manzo fino al vitello e al maiale, che vengono grigliate allo spiedo. Lo stesso spiedo poi viene portato al tavolo, dove la carne viene tagliata e servita ancora fumante. 

Ad accompagnare i diversi tagli del churrasco antipasti e primi piatti, freddi e caldi, della tradizione brasiliana. Il nostro percorso prevede “dieci cortes de carne”, dieci tagli differenti, e mentre aspettiamo che il primo spiedo arrivi al tavolo, veniamo deliziati con tre antipasti: “Pão de Queijo”, un panino al formaggio cotto al forno realizzato con farine che provengono direttamente dal Brasile, delle “Coxinha” simili ai nostri arancini fritti ma con all’interno della carne di pollo e, infine, un piatto che ci ricorda i sapori del nord Italia e che scopriamo essere diffuso e apprezzato anche in Brasile, la polenta fritta.

Pão de Queijo

Tra un boccone e l’altro, al tavolo arriva il primo spiedo e inizia così il nostro giro di churrascos, rigorosamente serviti in modo tradizionale. I sapori delle diverse tipologie di carne vengono preservati ed esaltati in modi differenti. Per esempio, la carne di manzo viene prima cosparsa di sale grosso e poi messa sul fuoco, solo a fine cottura, quando inizia a diventare dorata, il sale viene tolto e dalla carne inizia a fuoriuscire il sughetto che la insaporisce. Altre carni, invece, vengono marinate con un mix di erbe oppure servite con del formaggio fuso. Per vivere un’esperienza brasiliana a trecentosessanta gradi non poteva mancare una bottiglia di Miolo rosso.   

Nel mentre, gli antipasti lasciano spazio a “Os pratos frios”, i primi piatti freddi, tra questi troviamo la “Vinagrete”,  una salsina a base di cipolla, peperoni, pomodori, olio di oliva e sale, ottima per intingere la nostra carne. Picanha di scottona e angus, filetto e controfiletto, salsiccia: da Toro Churrascaria gli spiedi arrivano al tavolo uno dopo l’altro, seguendo il giusto ritmo, così che la carne sia servita sempre calda, e la modalità di cottura preferita di ogni ospite, al sangue, media cottura o ben cotta. La tradizione brasiliana prende il sopravvento con il “Cupim de toro” , ovvero la gobba del toro, un taglio particolarmente grasso e dal sapore intenso ma molto apprezzato, che viene prima lasciato marinare per una notte e poi cotto allo spiedo a fuoco basso per sei o sette ore. Per sgrassare il palato, non possiamo non accompagnare i bocconcini di Cupim con una “Salada de Cenoura e Maçã”, una fresca insalata di mele e carote. 

Non mancano le pietanze calde e qui troviamo due regine indiscusse della cucina Brasiliana: da un lato la “Feijoada”, la nota fagiolata a base di fagioli neri e diversi tagli di carni di maiale, è forse il piatto più rappresentativo e conosciuto della tradizione enogastronomica brasiliana , dall’altro lato la “Farofa”, una pietanza più particolare e poco conosciuta, composta da farina di Manioca saltata con pancetta.

Feijoada

Da Toro churrascaria, l’arte del churrasco viene mantenuta fino alla fine del pasto con l’ “Abacaxi Assado com Canela” e cioè l’ananas allo spiedo con cannella che possiamo accompagnare con uno dei particolari liquori fatti in casa, scegliendo tra tre diversi gusti: arachidi, cioccolato e cocco.

Decidiamo di concludere in dolcezza questo pasto e ci lasciamo sorprendere dal “misto dolci brasialiani” , tre monoporzioni di dolci tipici e fatti in casa: un Brigadeiro al cioccolato, una cremosa mousse al frutto della passione e il Beijinho al cocco.

Nata nel cuore della Barbagia, in una casetta di Lanusei nel 1902, Rosa Demuro sembrava destinata a una vita silenziosa e remota, come tante sue coetanee nate nella Sardegna profonda del primo Novecento. E invece il suo destino fu tutt’altro che ordinario. A vent’anni, spinse la porta di un convento per non uscirne più. Ma quella porta non era un limite: era solo l’inizio. Con il nome di Suor Giuseppina, la giovane Rosa divenne una forza silenziosa ma inarrestabile, una donna capace di scrivere pagine di storia nel buio delle celle del carcere Le Nuove di Torino.

Trasferita in Piemonte per la sua attitudine energica e autorevole, Suor Giuseppina trovò nella prigione un campo di battaglia morale. Per quarant’anni condivise la sua vita con detenute e detenuti, non come custode, ma come sorella, consigliera, madre. In un ambiente duro, spesso disumano, la sua presenza era quella di un balsamo silenzioso.

Ma fu durante l’occupazione nazista, tra il 1943 e il 1945, che la sua umanità si trasformò in eroismo. Le Nuove divennero un luogo di tortura e morte, con il famigerato Primo Braccio riservato ai prigionieri politici e agli ebrei. In quel clima di terrore, Suor Giuseppina si trasformò in una staffetta umana del coraggio, aiutando decine di donne, uomini e bambini a fuggire, nascondersi, sopravvivere.

Le storie che la riguardano sembrano uscite da un film, eppure sono tutte vere. Come quella della giovane ebrea salvata da una morte certa grazie a un’intossicazione indotta: la suora fece bere alla prigioniera un decotto di catrame ricavato dai mozziconi raccolti nel cortile, simulando una grave malattia che convinse i medici nazisti a farla uscire per curarla. O del neonato nascosto nel cesto della biancheria sporca, portato fuori dal carcere senza che nessuno se ne accorgesse. Ogni giorno era un rischio, ogni scelta una sfida al potere nazista. Ma Suor Giuseppina non si tirò mai indietro.

Nemmeno nei giorni cruciali della Liberazione: il 26 aprile 1945, stanca di aspettare ordini, salì su una camionetta e attraversò una Torino ancora in fiamme per raggiungere il Prefetto. Gli chiese – e ottenne – la liberazione dei prigionieri politici. Poi tornò indietro, sempre sotto il fuoco incrociato, per portare la notizia ai detenuti. Una suora con la fermezza di un generale e la tenerezza di una madre.

Finita la guerra, non cercò né gloria né gratitudine. Restò dove era sempre stata: tra le sbarre, a fianco degli ultimi. E fu per le donne, soprattutto, che volle fare di più: negli anni ’50 fondò “La Casa del Cuore”, una delle prime strutture protette in Italia per accogliere le ex detenute, donne spesso sole, dimenticate, senza una casa né un futuro.

Nel 1965, morì nel carcere che era diventato la sua casa. Ma il suo ricordo non è stato sepolto con lei. Anzi, torna a vivere oggi con sempre più forza: l’Unione dei Comuni d’Ogliastra ha intitolato a lei il proprio centro antiviolenza, e il Centro Femmilie di Lanusei le ha dedicato la Giornata dell’8 marzo. Le Nuove, oggi trasformato in museo, conserva le sue tracce, le sue lettere, le sue azioni.

E ora, finalmente, il suo nome è stato proposto per diventare Giusta fra le Nazioni, un riconoscimento che lo Stato d’Israele riserva a chi ha salvato anche una sola vita ebrea durante la Shoah.

Suor Giuseppina è stata molto più di una suora: è stata una partigiana senza armi, un’eroina senza medaglie, una donna di Dio che ha scelto di servire l’umanità intera. In un secolo che ha visto tanto orrore, ha lasciato una traccia di luce, coraggio e misericordia che merita di essere conosciuta da tutti.

Perché ci sono vite che andrebbero studiate a scuola. E quella di Rosa Demuro, diventata Suor Giuseppina, è una di queste.