Storia di un’adozione. L’esperienza della giovane cagliaritana Bruna Fasoli

Adottata da una coppia di Cagliari a soli tre anni, Bruna oggi vive felice nel capoluogo sardo e in questa intervista ci racconta tanti aspetti dell'adozione che non tutti conoscono
Come viene vissuta, al giorno d’oggi, l’adozione da chi ha trovato una nuova famiglia pronta ad accoglierla? Ogni caso è a sé, certo, ma scoprire il punto di vista della giovane ventisettenne Bruna Fasoli ci ha aperto gli occhi su una storia a lieto fine.
Partiamo dall’inizio della tua storia: quando hai scoperto di essere stata adottata e come? Che rapporti hai con i tuoi genitori biologici?
L’ho sempre saputo, credo che questo dipenda anche dal fatto che sono stata adottata quando avevo tre anni e i ricordi dei bambini cominciano a formarsi a quell’età. Non ho rapporti con i miei genitori biologici, da subito ho considerato i miei genitori come l’unico punto di riferimento, forse sono stata fortunata, ma con loro si è creato un legame fortissimo dal primo giorno. Sono comunque grata per la scelta che ha fatto la mia “madre” biologica, ma solo perché mi ha dato l’opportunità di essere amata come una figlia dovrebbe essere, se non fosse stato per lei ora non sarei qui, avrebbe potuto scegliere di interrompere la gravidanza; invece, è andata avanti e per questo le sarò grata per tutta la vita.
In che modo ha inciso la consapevolezza dell’adozione nella formazione del tuo carattere e della personalità?
Non credo abbia inciso più di tanto, la mia adozione è stata serena e questo ha fatto sì che mi integrassi da subito nella mia famiglia, per certi versi mi sento figlia biologica, solo che invece di aver ereditato dei tratti fisici ho ereditato il carattere, soprattutto quello di mio padre. Infatti, quando discutiamo mia madre mi dice che è normale perché abbiamo lo stesso carattere forte. Ovviamente, una parte di me, inconscia, ha sofferto i primi tre anni, infatti ritengo di patire la paura dell’abbandono, anche per il desiderio di voler sempre piacere a tutti e, soprattutto, di non voler mai deludere nessuno.
Come credi che possano essere aiutate tutte quelle persone che vivono questa situazione familiare in un modo meno naturale?
Credo che il fatto di parlarne apertamente con i propri genitori, senza aver paura di affrontare l’argomento possa essere utile, anche perché toglierebbe quel senso di diversità che alcuni ragazzi potrebbero avvertire.
In tutte le famiglie ci sono incomprensioni e spesso sono dovute alle differenze caratteriali, questo non vuol dire che chi è stato adottato ne abbia di più perché i genitori non sono biologici, questo genere di incomprensioni capitano in ogni caso. Poi ci sono ragazzi che hanno già una loro storia familiare alle spalle e devono riadattarsi alla nuova famiglia. In questi casi, secondo me, bisogna avere pazienza, entrambe le parti, cercare di dirsi tutto, in modo che il ragazzo possa percepire l’interesse e l’amore dei propri genitori.
Credi che al giorno d’oggi l’adozione venga trattata in maniera corretta dalle istituzioni e, in caso contrario, cosa potrebbe essere migliorato?
Credo che in Italia ci sia ancora poca apertura su questo tema, in alcuni casi si pensa che l’adozione sia solo un atto caritatevole (per colpa dell’istituzioni), ma non è così. L’adozione è solo un altro modo per riuscire ad allargare la famiglia, come potrebbe esserlo la fecondazione in vitro o l’uso di una madre surrogata. Lo scopo finale è lo stesso, in tutti i casi.

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