“Una terra pestilenziale”. Ecco cosa pensavano Dante e Cicerone della Sardegna

Parole infuocate nei confronti della Sardegna da parte di Dante e Cicerone, in questo caso in riferimento alla malaria che ha dilagato spesso nell'Isola
Come è noto, una delle malattie che più di tutte flagellarono la nostra Isola fu la malaria, dagli storici collegata all’arrivo in Sardegna dei cartaginesi.
Uno dei primi a segnalare il problema fu Cicerone, noto detrattore della Sardegna e dei sardi, che in una lettera destinata al fratello Quinto, che ai tempi ricopriva il ruolo di pretore di Olbia, lo pregava di fare ritorno a Roma e di riguardarsi, visto che si trovava in una terra non salubre: “Benché sia inverno, ricorda che quella è la Sardegna!”.
In un altro scritto, sempre a proposito di antipatia nei confronti della Sardegna e in riferimento alla malaria, Cicerone parla così di Tigellio, una sorta di cantautore sardo caro a Cesare: “Quell’uomo è il più pestilenziale della sua patria”.
Dante, come sappiamo, non fu da meno. Odiava la nostra Isola e nelle sue opere non ne fece mai mistero. Sulla malaria in Sardegna, in particolare, ricordiamo un passo dell’Inferno:
“Qual dolore fora, se de li spedali
di Valdichiana tra il luglio e il settembre
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti insembre,
tal era quivi, e tal puzzo ne usciva
qual suol venir de le marcite membre”.
Nel tentativo di offrire ai lettori un’immagine chiara delle “Malebolge” del suo Inferno, Dante scelse proprio l’esempio delle conseguenze della malaria nell’Isola: quella parte dell’inferno viene presentata, infatti, come un’unica fossa dove si riversavano tutti i mali delle tre regioni più colpite dalla pestilenza: la Val di Chiana, la Sardegna e la Maremma toscana.
Nel libro “Dante e la Sardegna”, poi, l’autore Pantaleo Ledda ricorda ai lettori come negli archivi pubblici e privati di Pisa, Firenze, Genova, Massa, Roma, Cassino, Marsiglia e della Sardegna si trovasse un ricco materiale documentario che consentì di fare luce sull’opera di Dante e sui collegamenti della Divina Commedia con la nostra Isola.
Come sottolinea Giovanni Mameli nella prefazione al volume, si parla di Sardegna nei canti XXII, XXVI, XXIX e XXXIII dell’Inferno e nei canti VIII e XXIII del Purgatorio. Mameli commenta: «I giudizi dati da Dante sui nostri conterranei non sono lusinghieri. Ma questa severità rientra in una più risentita vena del poeta, che presenta sotto una cattiva luce quasi tutti gli abitanti delle diverse regioni italiane. Alla base di tale condanna c’è il dilagare del peccato, nelle sue più svariate manifestazioni, che viene fatto risalire anche a una forma di governo corrotto e dissoluto».
Una domanda ci si pone da secoli: ma Dante venne mai in Sardegna? Non ci sono testimonianze a favore di questa ipotesi ma non è da escludere che il Sommo Poeta abbia fatto visita alla nostra isola, considerato il fatto che in quel periodo tantissime navi puntavano verso la Sardegna specialmente per fini commerciali. Ricordiamo, del resto, che in Sardegna venne anche uno dei fiorentini contro i quali Dante si scagliò più duramente, Lapo Saltarelli, del quale si conserva una epigrafe in una chiesa cagliaritana.
Una larga parte del saggio di Ledda è occupata dal commento ai versi sulle donne della Barbagia, che Dante presenta come particolarmente immorali, anche se non licenziose come le fiorentine, per le quali il poeta spende parole molto severe e pungenti.
Spiega Mameli: «Uno dei motivi di tale scandalo sarebbe dovuto alla moda di tenere il seno scoperto. O meglio, le donne usavano delle camicie così scollate che era facile scorgere questa parte del loro corpo. Attraverso una lunga rassegna di testimonianze scritte, Ledda traccia un breve quadro della moda femminile delle zone interne della nostra Isola. Arriva a una conclusione sorprendente, alla fine: nei costumi delle donne sarde non vi è nulla di strano, i vestiti sono belli e pittoreschi e l’accusa di immoralità non ha nessun fondamento. Le testimonianze dimostrano invece una copertura del corpo, dove il viso addiritttura in certe circostanze viene coperto da un velo».

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