Lo sapevate? La chiesa più bella di Cagliari fu distrutta dalle bombe alleate nel 1943
(PHOTOGALLERY) Chi la ricorda l'ha definita una delle chiese più belle di Cagliari e di tutta la Sardegna. Era un esempio eccezionale di stile gotico catalano, per le sue volte, per il chiostro (una parte si è salvata) ma venne spazzata via dalle bombe alleate nel maggio del 1943. Guardate com'era.
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Lo sapevate? La chiesa più bella di Cagliari fu distrutta dalle bombe alleate nel 1943.
Chi la ricorda l’ha definita una delle chiese più belle di Cagliari e di tutta la Sardegna. Era un esempio eccezionale di stile gotico catalano, per le sue volte, per il chiostro (una parte si è salvata) ma venne spazzata via dalle bombe alleate nel maggio del 1943.
Fondato nella seconda metà del XIII secolo ai margini del borgo di Villanova, il convento di San Domenico raggiunse la sua massima espansione nel corso della seconda metà del Cinquecento, in seguito all’attuazione di un lungo processo di ammodernamento e di ampliamento della fabbrica conventuale, innescato dall’introduzione nel cenobio della Riforma domenicana (1566). In questo contesto dovette probabilmente inserirsi anche la realizzazione delle due grandi crociere a diciassette e cinque chiavi che coprivano l’aula della chiesa.
Nel 1943 il convento venne raggiunto da due gruppi di bombe che, esplodendo all’interno della chiesa, provocarono la caduta della copertura e della maggior parte delle pareti verticali dell’aula, causando ingenti danni anche al chiostro. La chiesa fu ricostruita leggermente sopraelevata con altre forme ma le sue splendide volte andarono perdute. Sotto la nuova chiesa si conservano solo alcuni ambienti della vecchia struttura e una parte del chiostro.
Ecco cosa riporta un vecchio articolo del professor Franco Masala sulla chiesa di San Domenico:
“L’antica chiesa di san Domenico, gioiello dell’architettura gotico-catalana a Cagliari, venne quasi del tutto distrutta durante i bombardamenti del 1943. Sopra i suoi resti, che oggi costituiscono la cosiddetta Cripta di San Domenico, venne eretta, tra il 1952 e il 1954, l’attuale chiesa in stile moderno ad opera dell’architetto Raffaello Fagnoni.
La chiesa è annunciata da un alto e severo campanile e dalla singolare cupola ellissoidale, che sorge di fronte alla facciata e di poco staccato da essa. La caratterizzazione esterna dell’edificio è data dal paramento, in blocchi a vista di calcare bianco di Bonaria.
Il prospetto principale, in cima a una scalinata che collega la chiesa alla piazza antistante, è a terminale piatto, con tre portali alti e ristretti nella parte inferiore e un finestrone orizzontale che caratterizza la parte superiore. L’interno è a pianta rettangolare, con navata unica e presbiterio anch’esso a pianta rettangolare ma più stretto rispetto all’aula. Dalle pareti laterali partono i costoloni in cemento armato che vanno ad incrociarsi sulla volta, ricordando l’andamento delle volte a crociera stellata, vanto dell’antica chiesa gotica di San Domenico.
L’area presbiteriale, con l’altare maggiore e il coro dei frati, è innalzata rispetto al pavimento dell’aula tramite uno scalone; la parete di fondo del presbiterio è dominata dalle canne dell’organo, costruito dalla ditta Balbiani Vegezzi Bossi di Milano negli anni 1950, e da un mosaico a grandi tessere di ceramica raffigurante san Domenico. L’aula è segnata, nel senso longitudinale, da tre gradini per lato che danno vita a due pseudo-navate contigue alla navata centrale, che così risulta depressa rispetto ad esse.
Sulla pseudo-navata laterale sinistra era stato eretto originariamente un pulpito a pianta esagonale sorretto da un pilastro tronco conico svasato verso l’alto; l’accesso al pulpito era reso possibile grazie ad una scala metallica amovibile; le superfici del pulpito erano interamente rivestite da tessere di un mosaico con fondo oro e figure di santi; alla fine degli anni ’60 il pulpito venne rimosso con una decisione presa, verosimilmente, dal rettore pro-tempore del convento. Di quegli anni è anche la nicchia, ubicata a metà della parete di sinistra della chiesa, creata per ospitare la preziosa statua seicentesca della Madonna del santo Rosario. Le dimensioni della nicchia, tuttavia, si dimostrarono insufficienti per ospitare degnamente la statua, collocata stabilmente sulla portantina processionale, viene esposta ai fedeli alternativamente nella chiesa superiore o in quella inferiore, a seconda delle stagioni.
Negli anni novanta la chiesa superiore ha subito delle modifiche per adeguare la stessa alle mutate norme sulla celebrazione della santa messa, secondo quanto previsto dalla Chiesa madre; le modifiche hanno comportato, nel presbiterio, la distruzione dello snello altare di progetto (che aveva un originale tabernacolo in legno di mogano a forma tronco conica) con la creazione di una mensa costituita da un distonico e tozzo parallelepipedo affiancato da due leggii, altrettanto tozzi e distonici, rivestiti in un lastrame di granito grigio e che, come detto, mal si adattano al marmo in calcare di Trani presente in tutte le pavimentazioni interne della chiesa, oltre che allo stile ed al gusto dell’architetto progettista. Un ulteriore discrasia stilistica fu compiuta, con l’intervento sopra descritto, con la creazione di altri due tozzi altari-parallelepipedi in granito grigio sulle pareti di fondo delle due pseudo-navate laterali.
Nonostante questi interventi la chiesa superiore di san Domenico rappresenta, forse, l’unico intervento di qualità realizzato a Cagliari nel secondo dopoguerra. Della chiesa inferiore gotico catalana, come detto, è rimasta intatta la sola cappella della Madonna del santo rosario, ubicata nel fianco sinistro ed in prossimità del presbiterio; è andato tuttavia disperso il retablo ligneo seicentesco che ospitava la statua della Madonna, oltre a numerosi quadri e formelle alcune delle quali sono ancor oggi presenti nel chiesa e nel convento”.
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La straordinaria ascesa in Siam di Stefano Cardu, l’imprenditore cagliaritano che cambiò il volto di Bangkok

La storia del cagliaritano Stefano Cardu è una di quelle vicende dimenticate dal tempo ma ricche di fascino e avventura, che alla fine dell'Ottocento lo vide trasformarsi in una vera e propria celebrità in Thailandia, all'epoca conosciuta come Siam.
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La straordinaria ascesa in Siam di Stefano Cardu, l’imprenditore cagliaritano che cambiò il volto di Bangkok.
La storia del cagliaritano Stefano Cardu è una di quelle vicende dimenticate dal tempo ma ricche di fascino e avventura, che alla fine dell’Ottocento lo vide trasformarsi in una vera e propria celebrità in Thailandia, all’epoca conosciuta come Siam.
Ma chi era esattamente Stefano Cardu e come fece a diventare così influente e famoso in una terra lontana dalla sua Sardegna?
Nato a Cagliari il 18 novembre 1849 da una famiglia di modestissimi artigiani, Cardu intraprese giovanissimo degli studi nautici. Tuttavia, non potendo resistere al richiamo dell’oceano, interruppe gli studi contro la volontà dei genitori ma ebbe la brillante idea di portare con sé i costosi libri già acquistati, che durante le navigazioni diventarono un ottimo passatempo; questa abitudine allo studio non andò sprecata, tanto che in una breve licenza riuscì a presentarsi agli esami e a conseguire la patente di capitano di gran cabotaggio. Per i successivi dieci anni navigò praticamente senza interruzione, evitando anche il servizio di leva in quanto unico figlio maschio. Il destino volle che durante questo periodo di navigazione si verificasse un naufragio, forse a causa di una tempesta, che lo costrinse a mettersi in salvo a nuoto nelle acque della Malesia. Nonostante il drammatico episodio, Cardu si stabilì nell’allora Siam, più precisamente a Bangkok, prendendo la decisione di non proseguire nella carriera da marinaio ma di tentare nuove strade in nuovi ambiti lavorativi. Le uniche risorse di cui disponeva in quel momento erano una spiccata intelligenza, un’ottima predisposizione per il disegno tecnico e ingegneristico e un marcato senso estetico per le costruzioni; va ricordato che fu il primo italiano a stabilirsi nel Siam.
Cardu fece parte di un nucleo ristretto di professionisti europei che ebbe un impatto significativo, cambiando il volto della capitale Bangkok tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Infaticabile lavoratore, divenne presto amico dei potenti e un notevole collezionista di opere d’arte. Il suo primo lavoro a Bangkok fu presso un costruttore edile originario dell’Inghilterra, ma già meditava di mettersi in proprio. Proseguendo nel suo intento, riuscì ad aprire una segheria e si dedicò totalmente all’edilizia, utilizzando prevalentemente il legno di teak; i suoi più grandi ingaggi provenivano da persone private e dalla Corte del Siam, la quale arrivò a commissionargli anche ponti e strade. L’impresa di Cardu si chiamava S. Cardu & Co e negli anni migliori arrivò a dare lavoro a due architetti, un ingegnere, tre disegnatori e cinque impiegati locali. Come Cardu sia arrivato a lavorare per il governo non è del tutto chiaro dalle fonti ufficiali, ma è certo che nel 1879 il professionista cagliaritano risulta essere disegnatore e progettista per l’amministrazione siamese. Le biografie ufficiali raccontano che Cardu, nato nel 1849, arrivò in Siam nel 1874. All’epoca, sul trono c’era Rama V, un sovrano illuminato di neanche trent’anni, educato da una governante inglese e un tutor scozzese, particolarmente aperto alla modernizzazione. A Bangkok, l’opera di Cardu è parte rilevante nella storia della capitale durante il primo periodo della modernizzazione, tra gli anni Settanta dell’Ottocento e la creazione del Dipartimento dei Lavori pubblici nel 1889.
Tra le sue commesse più importanti si annoverano la residenza del principe Chaturonratsami (1879), la facciata e la torre dell’orologio nella sede delle Poste, l’Hotel Oriental (1890) — destinato a ospitare diplomatici e regnanti in visita alla corte siamese e ora conosciuto come Mandarin, che conserva ancora nelle parti di rappresentanza i caratteri originali — i Chioschi in stile europeo per la cremazione reale (1888), il Saranom Palace (1892) e il Royal Military College (1890-92). Di queste opere, oggi resta l’edificio del Royal Military College, che è l’attuale sede del Royal Thai Survey Department. Tutto questo durò per circa una trentina d’anni durante i quali Stefano Cardu diventò ricchissimo e influente, accumulando una vera e propria fortuna sia economica che artistica, collezionando oggetti di valore. Padroneggiava correttamente tre lingue – siamese, inglese e francese – oltre alla sua lingua madre, e grazie a queste conoscenze si dedicò molto alla lettura soprattutto riguardante le opere d’arte dei luoghi da lui visitati. Nonostante il successo, nel 1890 Cardu con l’impresa in affanno fu costretto a lasciare il Siam, portando con sé un piccolo tesoro accumulato.
Trascorsi trent’anni nel Siam, Cardu decise di tornare in Europa, stabilendosi per qualche tempo a Londra e depositando al British Museum il suo enorme tesoro accumulato negli anni. Ha continuato tuttavia a spostarsi tra le varie nazioni europee come Inghilterra, Francia e Italia, finché nel 1900 decise di tornare nella sua città natale. Dopo aver rifiutato le pressanti offerte di acquisto da parte del museo della sua vasta collezione di oggetti orientali, decise di far viaggiare con sé la sua collezione d’arte. Tornato sull’isola, acquistò un vasto terreno nell’hinterland cagliaritano pensando di fare un investimento che purtroppo si rivelò una fonte di forti perdite economiche. Nel 1914 donò al Comune di Cagliari la collezione da cui nasce il Museo civico di arte siamese, oggi ospitato nella Cittadella dei Musei. Tre anni dopo, nel 1917, decise di donare la sua collezione al Comune di Cagliari, ma tentò ancora per una volta di fare degli investimenti che si rivelarono ancora fonti di perdite che lo ridussero quasi in miseria. Dopo questa serie di sventure decise di trasferirsi a casa del genero a Roma, dove morì a 84 anni il 16 novembre del 1933. Tuttavia, non fu dimenticato dal Comune cagliaritano che decise di esporre la sua collezione d’arte siamese con un museo interamente dedicato a lui: il Museo d’Arte Siamese Stefano Cardu, che conserva la memoria e i tesori che il grande imprenditore giramondo riportò in patria.
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