Inaugura a Cagliari “Je MEM” dell’artista Bob Marongiu. Grande attesa per i suoi personaggi che “sorridono alla vita”
Cresce la voglia di live. E rinvigorisce la macchina delle mostre che oscurate nei mesi della pandemia stanno regalando nuove e inedite prospettive alla Mediateca del Mediterraneo di Cagliari. Come fa “Je MEM”, del pittore Bob Marongiu, visitabile gratuitamente sino al 31 agosto.
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Inaugura a Cagliari “Je MEM” dell’artista Bob Marongiu
Cresce la voglia di live. E rinvigorisce la macchina delle mostre che oscurate nei mesi della pandemia stanno regalando nuove e inedite prospettive alla Mediateca del Mediterraneo di Cagliari. Come fa “Je MEM”, del pittore Bob Marongiu, visitabile gratuitamente sino al 31 agosto.
“L’esposizione nasce dal lavoro quotidiano che l’artista ha portato avanti nell’ultimo mese all’interno dei locali della MEM, a contatto con studenti e fruitori della biblioteca”, ha spiegato l’assessora Maria Dolores Picciau ai giornalisti chiamati a raccolta questa mattina di giovedì 13 giugno 2022 proprio alla Mediateca del Mediterraneo. Oltre che sintomo di autostima, il titolo ”Je MEM”, che tradotto dal francese significa “Mi amo”, diventa anche una sorta di “elogio personale di Marongiu al polo multiculturale di via Mameli, diventato in pochi anni riferimento a livello locale e non solo”.
A confermarlo lo stesso artista. “Da qualche tempo – ha spiegato Marongiu – a uno studio professionale fisso preferisco spazi diversi, in luoghi diversi. Da vivere e da cui tirar fuori quel che trasmettono. Io la MEM la conoscevo, ma non avevo ben chiare tutte le sue potenzialità. Sono perciò partito dalle tele bianche. E man mano, ispirato anche da alcune autori conosciuti grazie alle letture fatte proprio qui alla Mediateca, sono entrato in sintonia con l’ambiente. Mi sono guardato intorno e ai miei personaggi ho abbinato le forme e i colori degli arredi della MEM. Sopratutto quei dischi che sono stampati su quasi tutte le pareti vetrate interne, un elemento onnipresente.
Sono dunque “26 i dipinti in mostra raffiguranti diverse interpretazioni del mito di Atlante e il titano, che regge il globo sulle spalle, rappresentato attraverso il mondo animalier”, ha concluso l’assessora. Un’immersione nel mare della fantasia nello stile immaginifico e coloratissimo di Bob Marongiu, che hanno dato vita ai suoi caratteristici personaggi, dagli occhi a palla, sempre capaci di “sorridere alla vita”.
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Intervista alla fotografa Sara Montalbano: “Ogni scatto è incontro umano e memoria emotiva”

«Definirei il mio stile autentico, senza tempo e profondamente nostalgico», racconta Sara. «È una fotografia che nasce dal desiderio di andare oltre la superficie, di cercare la poesia nascosta in uno sguardo, in una postura, in un silenzio»
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Sara Montalbano, nata a Cagliari nel 1993, è una fotografa che ha saputo trasformare il ritratto in una forma di narrazione emotiva, capace di raccontare l’interiorità delle persone oltre l’apparenza. La sua carriera inizia nella ritrattistica e nella fotografia di moda: nel 2012 trascorre un anno a Oxford in uno studio fotografico, prima di partire per Jakarta, in Indonesia, dove lavora per due mesi con una casa di moda che collabora con le principali riviste del gruppo Femina e partecipa alla settimana della moda di Jakarta come fotografa ufficiale.
«Definirei il mio stile autentico, senza tempo e profondamente nostalgico», racconta Sara. «È una fotografia che nasce dal desiderio di andare oltre la superficie, di cercare la poesia nascosta in uno sguardo, in una postura, in un silenzio». Con il tempo, la fotografa si è resa conto che ogni immagine rappresenta una mappa visiva personale del paesaggio dell’anima umana, un viaggio che va oltre la mera estetica.
Nel 2018 si trasferisce a Londra, dove sviluppa il proprio linguaggio fotografico ascoltando la creatività e le emozioni. L’esperienza più intensa arriva nel 2019, quando trascorre sei mesi a Londra dedicandosi al ritratto emotivo: fotografava quindici persone a settimana, con uno sfondo nero, uno sgabello e un flash. Questo periodo le insegna che la fotografia più potente nasce dalla semplicità e dalla capacità di accogliere l’emozione senza costruirla. Nello stesso anno, vive tre mesi in Asia (India, Vietnam, Thailandia e Birmania) per progetti personali di ritrattistica e fotografia di viaggio, consolidando la sua capacità di osservare le persone e i luoghi con profondità emotiva.
Il suo lavoro si concentra su storie intime e reali: ogni ritratto diventa un esperimento emotivo, un’occasione per far emergere la personalità e la bellezza autentica del soggetto. Le sue ispirazioni arrivano da epoche lontane: fotografia di moda degli anni ’30, musica parigina, jazz e musica brasiliana, mondi che portano con sé eleganza malinconica e lentezza, oggi quasi perdute.
Sara cerca una realtà emotiva, non oggettiva. «Non mi interessa documentare ciò che è visibile a tutti, ma ciò che emerge solo se ci si prende il tempo di ascoltare. Ogni fotografia è filtrata dal mio sguardo, dalla mia storia e dalla relazione che si crea con la persona davanti all’obiettivo». La connessione con i soggetti nasce prima dello scatto: parlano, condividono silenzi e, quando la persona smette di preoccuparsi di come appare, il ritratto prende vita. Da questa esperienza nasce The Portrait Session, il suo servizio di punta, raccontato anche su Instagram con @theportraitsession, dedicato a chi desidera ritratti autentici e personali.
La firma visiva di Sara si manifesta in luce diretta ma morbida, ombre profonde, fondali scuri e colori contenuti, spesso attraversati da una malinconia silenziosa che diventa segno di verità emotiva. «La tecnica è uno strumento», spiega. «Le mie immagini sono il risultato di tutto ciò che ho vissuto: cambiamenti, distanza, incontri e memoria familiare».
Oggi Sara è tornata a Cagliari, pronta a mettere la propria esperienza al servizio delle piccole e medie imprese, aiutandole a espandersi online anche a livello internazionale attraverso la fotografia. Per lei, la fotografia rimane memoria e immaginazione, un incontro umano prima ancora che un’immagine. «Voglio lasciare che siano le persone che fotografo a guidarmi, aprendo uno spazio in cui possano emergere i loro lati più intimi», conclude.
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