Enrico Berlinguer, uno dei politici italiani più stimati di sempre, è sepolto a Roma
Pochi uomini politici sono stati amati come lui. Quando morì, nel 1984, per andare ai suoi funerali a Roma si mobilitarono milioni di persone. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. Fu benvoluto persino dai suoi acerrimi rivali.
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Lo sapevate? Enrico Berlinguer, uno dei politici italiani più stimati di sempre, è sepolto a Roma.
Enrico Berlinguer è sepolto nel Cimitero Flaminio, noto anche come Cimitero di Prima Porta. Pochi uomini politici sono stati amati come lui. Quando morì, nel 1984, per andare ai suoi funerali a Roma si mobilitarono milioni di persone. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. Fu benvoluto persino dai suoi acerrimi rivali. La sua scomparsa lasciò un grande vuoto, non solo politico. Con i suoi 140 ettari di estensione, Flaminio è il cimitero più grande d’Italia; è percorso da 37 km di strade interne, sulle quali si circola con automezzi e autobus.
Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell’agosto del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia badogliana dove impera la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si sono svolte nei mesi precedenti. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano.
La sua carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. È un uomo instancabile che gli amici descrivono timido e introverso. Un giovane dirigente comunista, lontano dalla mondanità e dai clamori della politica, che nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti.
Sarà Segretario Regionale del PCI del Lazio dal 1966 al 1969. Eletto deputato, entra in Parlamento per la prima volta nel 1968 divenendo membro della Commissione Esteri; ben presto all’interno del partito arriva alla carica di Vice Segretario Nazionale. Al XIII Congresso Nazionale del PCI, svoltosi a Milano nel marzo del 1972, Berlinguer viene eletto Segretario Nazionale. È il 7 giugno 1984 quando si trova a Padova: durante un comizio per le elezioni europee un ictus cerebrale lo colpisce. Morirà pochi giorno dopo, l’11 giugno.
Come si dice lumaca in sardo campidanese?

Come si dice lumaca in sardo campidanese è una domanda che apre un piccolo universo linguistico dove ogni termine porta con sé storia, tradizione e un pizzico di simpatia.
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Come si dice lumaca in sardo campidanese?
Come si dice lumaca in sardo campidanese è una domanda che apre un piccolo universo linguistico dove ogni termine porta con sé storia, tradizione e un pizzico di simpatia.
Un nome che sembra quasi uno scioglilingua, si attorciglia proprio come una lumaca nel suo guscio e crea un’immagine poetica, che piace a grandi e bambini e accompagna un mondo di suoni capaci di evocare scene e colori della vita quotidiana. In sardo campidanese, la lumaca si chiama su sitzigorru, un nome che danza sulla lingua come un gioco antico, un suono che si attorciglia proprio come il piccolo abitante del suo guscio ed è una parola che evoca immagini vivide, quasi un piccolo incantesimo fonetico che affascina grandi e bambini, rafforzando l’idea che il lessico locale riesca a trasformare anche la creatura più minuta in un simbolo di identità. E poi, la natura si diverte a dare sfumature e distinzioni anche tra le sue creature più semplici, introducendo variazioni che rendono la lingua ancora più ricca e sorprendente, perché su boveri è su sitzigorru mascu, il maschio, quasi come se fosse il guardiano di questo minuscolo mondo nascosto tra l’erba umida, mentre se il guscio porta striature sottili il suo nome si allunga e diventa sitzigorru petiatzu, come un racconto che si intreccia tra le pieghe del tempo e aggiunge un tono di delicatezza all’immagine. Ma quando il guscio è ancora tenero, fragile come una promessa appena nata, allora è su sitzigorru buca moddi, una piccola casa in divenire, delicata come il primo respiro di un giorno di pioggia che cade lieve sulla terra, mentre per chi sfida le onde e non striscia sulla terra ma scivola tra le correnti salate del mare esiste il nome su sitzigorru de mari, una piccola creatura che porta con sé la leggerezza dell’acqua e il mistero delle profondità. Ogni nome racconta una storia, ogni parola sussurra un frammento di terra e di mare, di vento e di pioggia, e il sardo non è solo una lingua, è una melodia incisa nella memoria, un suono che raccoglie la vita e la trasforma in poesia, rendendo persino la semplice lumaca un simbolo affettuoso della cultura campidanese.
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